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Coronavirus, parla un italiano a Wuhan: «Pochi i test per la diagnosi, sono usati con parsimonia»

28 Gennaio 2020 - 18:17 Redazione
La maggioranza delle persone arriva nelle 61 "Fever clinic" sulle proprie gambe, spesso con tosse secca e spossatezza

I test per la diagnosi del coronavirus vanno usati con parsimonia. Questa la parola d’ordine a Wuhan, focolaio dell’epidemia. I kit disponibili, infatti, sono limitati e devono essere utilizzati solo per i casi gravi. Così facendo, però, si corre il rischio di non individuare quelli meno gravi. A raccontarlo sono l’infermiere italiano e il medico cinese, Francesco Barbero e Xiaowei Yan, sul sito del virologo Roberto Burioni, Medical Facts. La maggioranza delle persone che arrivano nelle 61 “Fever clinic” lo fanno sulle proprie gambe, di solito con tosse secca e spossatezza. Questi i sintomi iniziali.

«Il percorso per tutti sarà un prelievo, ma solo per vedere se ci sono segni d’infezione batterica. In caso di febbricola, gli esami includeranno anche un test per l’influenza stagionale e persino una tac del torace. Se la trafila risulterà negativa, il paziente sarà rimandato a casa in auto-isolamento, con un cocktail di farmaci per coprire possibili infezioni batteriche e virali» spiegano. Il vero e proprio test per il coronavirus, «spetta solo a chi presenta esami alterati e segni di lesione polmonare alla lastra», cosa che però riguarda solo i casi più gravi. «Dato il limitato numero giornaliero di kit disponibili, i medici sono chiamati a esercitare grande parsimonia e questo percorso dovrebbe assicurare per tutti uno standard».

Tuttavia, concludono, se la conferma avviene solo per i casi giudicati più gravi, «i dati pubblicati finora rappresentano evidentemente solo la punta dell’iceberg, aggiungendo confusione e incertezza davanti alle tante incognite di questo virus».

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