Fine vita, la Corte d’Assise: «Dj Fabo decise in autonomia. Solo allora Cappato lo aiutò»
La Corte d’Assise di Milano ha depositato le motivazioni con cui lo scorso 23 dicembre ha assolto Marco Cappato dall’accusa di aiuto al suicidio. La condotta di Cappato, secondo la corte, esclude l’agevolazione al suicidio nei riguardi di Dj Fabo nel febbraio 2017. Il collegio della prima Corte d’Assise, presieduto da Ilio Mannucci Pacini, ricostruisce come l’intervento della Corte Costituzionale abbia stabilito che per poter decidere rispetto alla non punibilità è necessaria la presenza di una patologia irreversibile e la volontà del soggetto espressa in modo «chiaro e univoco». Condizioni che in questo caso si sarebbero verificate. «Le emergenze istruttorie hanno (…) dimostrato che Marco Cappato ha aiutato Fabiano Antoniani a morire, come da lui scelto, solo dopo aver accertato che la sua decisione fosse stata autonoma e consapevole», si legge nella deposizione. «Dopo aver accertato che la sua patologia fosse grave e irreversibile e che gli fossero state prospettate correttamente le possibilità alternative» come il rifiuto alle cure.
Era stata già la Consulta a «escludere l’illiceità della condotta di agevolazione contestata a Marco Cappato» nella vicenda di Antoniani e lo fece «implicitamente con riguardo all’autonomia, libertà e consapevolezza che avevano connotato la sua decisione di porre fine alla sua vita, espressamente con riguardo alla ricorrenza delle condizioni di salute che legittimavano l’agevolazione della sua scelta». A dicembre, la pm Tiziana Siciliano aveva spiegato che nel caso di dj Fabo ricorrevano tutti e quattro i requisiti indicati dalla Consulta, che aveva tracciato la via sulla non punibilità dell’aiuto al suicidio. Per questo – aveva aggiunto – «il fatto non sussiste», e aveva chiesto l’assoluzione per l’esponente radicale.
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