No, di cultura in Italia non si campa. «A 30 anni, con una laurea a pieni voti prendi 800 euro al mese»
Riceviamo e pubblichiamo la mail di una nostra lettrice:
«Gentile Redazione,
leggo sempre quello che pubblicate a proposito di università e lavoro. Volevo portarvi la mia esperienza di lavoro in un settore credo dei più devastati in questi anni: i beni culturali nel settore pubblico.
Nell’ingenuità dei miei 18 anni, ho deciso di occuparmi sin dall’università di un settore in cui in Italia non si campa, i beni culturali appunto. Mi sono specializzata in archivistica e biblioteconomia, scelta ancora peggiore perché, a differenza dei musei, gli archivi e le biblioteche non hanno nemmeno il biglietto di ingresso. La maggior parte di queste istituzioni dipende dal settore pubblico e su di essi è gravata soprattutto la crisi di questi anni.
Dopo essermi laureata con il massimo dei voti, ho accettato, grazie alla generosità dei miei genitori, un tirocinio pagato 250 ero al mese per un anno. Poi una borsa di ricerca, alla favolosa cifra di 800 euro al mese. E tutto questo sapendo che dopo tre anni, al massimo, ti troverai in mezzo a una strada.
Si lavora 40 ore a settimana, se serve anche i sabati e le domeniche, niente ferie, niente malattie, dovendoti mostrare sempre disponibile e efficiente perché altrimenti rischi che non ti rinnovino, con l’unica prospettiva futura di affrontare un monumentale concorso, insieme a un minimo di altri 500 disgraziati per un posto.
Insieme a te, per assicurare la funzionalità del servizio, un continuo ricambio di giovani che fanno il servizio civile (poco più di 400 euro al mese), tirocinanti curricolari (gratis o al massimo crediti universitari), dipendenti di cooperative (spesso a cottimo). Spesso dovendo sopperire alla scarsità di personale strutturato o, ancora peggio, all’incapacità e alla scarsa voglia di fare di alcuni elementi del personale stesso, residui paleolitici di quando la pubblica amministrazione poteva permettersi di essere di manica larga.
Poi arrivi sulla soglia dei trent’anni e ti rendi conto che quello che per la generazione dei tuoi genitori era una cosa normale, una casa, una famiglia, magari dei figli, per te è un lusso. Allora c’è chi getta la spugna, abbandona quello che sperava di fare, quello che era preparato a fare e si accontenta di qualsiasi altro lavoro, magari andando all’estero, pur di uscire da questo tunnel, smettere di sopravvivere e avere finalmente una vita.
Ecco, questa è la mia banale testimonianza su ciò che vedo tutti i giorni e come me tanti altri, nelle nostre esistenze precarie.
Grazie,
L.»
Potete raccontarci le vostre storie e testimonianze dal mondo dell’università e del lavoro scrivendo una mail a: workinprogress@open.online
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