Primarie Usa, «Yes, Pete can». L’arte retorica di Pete Buttigieg, il “nuovo Obama” – Il Video
Alla fine il Sindaco Pete ha vinto di una virgola in Iowa: il 26,2% dei voti contro il 26,1% di Bernie Sanders, che però si è aggiudicato il voto popolare con uno scarto di circa duemila voti. Ad entrambi andranno 11 delegati: una frazione pressoché irrilevante dei quasi quattromila in palio, a cui spetta il compito di nominare il candidato democratico e probabile sfidante di Donald Trump alle presidenziali di novembre.
Una sconfitta per l’intero partito, certo, messo in ridicolo a causa dei ritardi nel conteggio dei voti. Il responsabile dei dem in Iowa non ha esitato ad ammetterlo e i repubblicani non si sono esimati dal sottolinearlo. Colpa delle app create ad hoc proprio per contare i voti (problemi “di programmazione” e anche una scarsa preparazione da parte degli organizzatori, alcuni dei quali non sapevano usarle).
In ogni caso, si tratta di un risultato significativo per Buttigieg, che alla vigilia del voto i sondaggisti davano terzo, con il 15%, dietro a Bernie Sanders e Joe Biden. Anche se si vociferava che il consenso attorno all’ex sindaco di South Bend – una cittadina di circa 100mila persone in Indiana – stesse crescendo, pochi ipotizzavano una sua vittoria.
Una storia americana
Per gli scettici è troppo inesperto, troppo giovane e con troppe poche idee rispetto a Bernie Sanders o Elizabeth Warren. Gli Stati Uniti non sono pronti per un presidente apertamente omosessuale, dicevano. Non basta essere brillanti, conoscere una mezza dozzina di lingue, aver servito in Afghanistan. Invece l’Iowa, evidentemente, la pensa diversamente e negli Stati Uniti c’è già chi lo paragona al giovane Barack Obama.
Alcune somiglianze con il giovane ex presidente ci sono. Anche Obama vinse a sorpresa in Iowa nel gennaio del 2008, arrivando prima di John Edwards e Hillary Clinton. All’epoca della sua prima vittoria in Iowa, Obama aveva qualche anno in più rispetto a Buttgieg (47 anni) e un passato da Senatore per lo stato dell’Illinois.
Era considerato un outsider, non soltanto per la sua età ma anche per il colore della pelle e per il nome – Barack Hussein Obama – che nell’America post 11 settembre era “macchiato” da un’assonanza infelice con il nome del noto terrorista.
Anche Buttigieg è figlio di immigrati: suo padre, stimato traduttore delle opere di Antonio Gramsci, era immigrato negli Stati Uniti da Malta. Il sindaco gioca spesso sull’impronunciabilità del suo cognome. Ma, soprattutto, come fece Obama, Buttigieg, anche lui abile oratore, sa inserire la propria storia in un’epica americana.
La sua strategia comunicativa è fortemente autobiografica, come si evince facilmente dal suo sito e dai suoi discorsi. È così che la sua storia diventa la storia di Davide contro Golia, del midwest post-industriale e piccolo borghese (come lui stesso si definisce) che con grande spirito di sacrificio e patriottismo fa sentire la propria voce a Washington.
Yes, Pete Can
Come Obama, anche Buttigieg ama presentarsi come l’antidoto alla politica cinica, corrotta e divisiva di Washington, come portavoce di una politica incentrata sulla speranza e sull’ottimismo, sulla preghiera laica del “Yes, we can”. Come Obama evoca l’America delle “piccole cittadine e delle grandi città”, di “stati rossi e blu”, uniti in un unico grande sogno, in un unico esperimento democratico.
Tesi, antitesi, sintesi. Ripetizioni, frasi lunghe alternate a frasi corte, concetti alti alternati a dettagli e aneddoti. E la promessa, la certezza di poter curare il Paese dalle sue divisioni, di creare una coalizione per il cambiamento composta dalla maggioranza dei moderati: democratici, indipendenti e – nella frase coniata da Buttigieg – di “futuri ex repubblicani”.
E così, mentre i suoi rivali si scagliano contro l’establishment, contro l’impeachment, contro Donald Trump, mentre lanciano ambiziosi progetti di redistribuzione della ricchezza, per un piano sanitario da finanziare a suon di migliaia di miliardi di dollari rendicontati fino all’ultimo centesimo, Buttigieg accenna all’importanza della scuola, alla sfida epocale del cambiamento climatico. E poi, rivolgendosi ai suoi elettori, traccia gli orizzonti di un viaggio che stanno compiendo insieme verso un futuro migliore.
Foto copertina: Vincenzo Monaco
Video: Riccardo Liberatore e Vincenzo Monaco
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