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Sanremo 2020, perché deve vincere Achille Lauro

08 Febbraio 2020 - 12:28 Felice Florio
Le sue non sono semplici esibizioni musicali: l'enfant terrible della borgata romana ha portato sul palco dell'Ariston performance artistiche che sono un inno assoluto alla libertà

Un artista totale: in Achille Lauro la musica incontra e si fonde con la moda del direttore creativo di Gucci, con la pittura di Giotto, con le posizioni scultoree da Discobolo di Mirone. Arti del trivio e del quadrivio, dal Medioevo al glam rock di David Bowie degli anni ‘70: i riferimenti al passato si sprecano, tutti hanno interpretato a proprio modo la presenza scenica di Achille Lauro sul palco di Sanremo.

C’è chi, sbalordito dalla quasi nudità del cantante romano, ha ricordato l’esibizione di Anna Oxa all’Ariston nel 1985, c’è chi ha rivisto nel suo ghigno beffardo, ripreso dalle telecamere subito dopo la spoliazione, il sorriso di Joaquin Phoenix che interpreta Joker. Ma nessuno si è soffermato sul vero segreto del cantante romano. Eppure ce l’ha gridato forte nel titolo e nel ritornello del suo brano: possiamo riflettere, fare le nostre valutazioni, ma la forza di Achille Lauro è che lui, dei nostri giudizi, se ne frega.

Forse per questo ha già vinto Sanremo 2020. Ed è bastato vederlo scendere a piedi nudi dalla scalinata dell’Ariston, avvolto in una cappa di velluto nero. Poi, in un secondo, la trasfigurazione di raffaelliana memoria. Mostrandosi in uno straordinario splendore e candore delle vesti, Achille Lauro è tranquillo, irriverente, imperturbabile. E quasi ci si dimentica della parole, dei suoni rockeggianti di Me ne frego.

Ci ha pensato il ventinovenne romano a ricordarlo, in una dichiarazione, affermando che «la musica per me è la cosa più importante ed è dalla musica che nasce la mia concezione dell’arte, dello scrivere, del dipingere e dell’utilizzare il mio stesso corpo come una vera e propria opera. Sanremo è il più grande palcoscenico per la canzone, ma nel mio modo di intendere è una grandissima occasione per portare delle performance complete».

E abbiamo parlato solo della prima serata del Festival. L’enfant terrible di borgata ha monopolizzato l’attenzione del pubblico, della critica, dei social network con un solo movimento: giù il mantello. L’artista diventa la rappresentazione vivente del «momento più rivoluzionario della sua storia di San Francesco, in cui si è spogliato dei propri abiti e di ogni bene materiale per votare la sua vita alla religione e alla solidarietà».

È un po’ la parabola della carriera artistica di Achille Lauro, che ha abbandonato la violenza musicale della trap per riproporre, come l’anno passato con Rolls Royce, una canzone che abbandona delicatamente il rap e si fa rock. «Prenditi gioco di me che ci credo / St’amore è panna montata al veleno / È una vipera in cerca / Di un bacio / Che poi / Le darò / Io sempre in cerca / Di quello che ho perso / Perdendo / Le cose che ho».

Una canzone d’amore, ma che non parla di sentimenti nell’accezione sanremese più comune. Achille Lauro ribalta la prospettiva del romanticismo, evitando qualsiasi riferimento al lieto fine: il suo è un amore cantato nella fase in cui una persona diventa incapace di vivere con razionalità la relazione. L’inettitudine del sentimento, l’inerzia con la quale si porta avanti un rapporto nonostante le menzogne, nonostante l’insano «Fai di me quel che vuoi».

Achille Lauro canta di un “amore nonostante”. Strano – si potrebbe commentare superficialmente – per un ragazzo che ha spesso cantato di droga e della sfera più bestiale dell’umanità nella quale è cresciuto. Ed è proprio sul palco di Sanremo 2020 che Achille Lauro dà la dimostrazione che tutti possono cambiare, che persino i personaggi più discutibili possono insegnare tante cose ai fini intellettuali e agli esperti di cultura musicale.

Ad esempio? Santo Lauro, prima con un vestito femminile poi con la riproposizione di una delle maschere più famose di David Bowie, Ziggy Stardust, ha relegato il maschilismo di Amadeus a un umiliante secondo piano, così come il refrain di sostegno al presentatore proposto a più riprese da Fiorello. Nella sua seconda serata sul palco dell’Ariston, Achille Lauro si presenta con un lungo taglio di capelli pre-raffaelita e un ombretto glitterato azzurro che contrasta con la chioma ramata.

Ziggy Stardust è un’«anima ribelle, simbolo di assoluta libertà artistica espressiva e sessuale – spiega Lauro – nonché di una mascolinità non tossica». Sconvolgente, vero, con i tatuaggi quasi spariti per il trucco. Ma non è questa la mossa più potente. È la serata duetti e il romano canta insieme alla collega Annalisa. Gli uomini non cambiano di Mia Martini torna all’Ariston con un significato rinnovato che allarga le braccia e unisce, in unico amplesso, la condizione femminile al tema della fluidità di genere.

Una bomba. «La mia confusione di generi è il mio modo di dissentire e ribadire il mio anarchismo, di rifiutare le convenzioni, da cui poi si genera discriminazione e violenza», spiega il cantante. «Sono fatto così mi metto quel che voglio e mi piace: la pelliccia, la pochette, gli occhiali glitterati sono da femmina? Io voglio essere mortalmente contagiato dalla femminilità, che per me significa delicatezza, eleganza, candore. Ogni tanto qualcuno mi dice: ma che ti è successo? Io rispondo che sono diventato una signorina», scrive Lauro De Marinis – questo il vero nome di Lauro – nel suo libro Io sono Amleto.

Ancora, non è nemmeno questa qui la mise più dirompente di Achille Lauro. Durante tutta l’esibizione, l’artista ha fatto una mossa insolita per la serata duetti: lui sceglie di stare «un passo indietro» alla sua ospite, Annalisa. Si è fatto dirigere da lei e, come per tutti i mostri sacri ai quali è stato accostato – Bowie, Renato Zero, Frank Zappa, Mick Jagger, Freddie Mercury, e tanti altri – è stata la stampa e la critica a intentare paragoni: lui non ha mai osato scimmiottare le loro qualità musicali. Ha semplicemente preso in prestito la loro potenza iconografica per portare sul palco dell’Ariston messaggi passati che rivendicano la propria importanza anche nel presente e possono essere ascritti tutti sotto una stessa parola: libertà.

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