Egitto, «Zaki picchiato e torturato per sette ore». Il racconto dell’avvocato che lo ha visto per primo
Di analogie tra l’arresto del ricercatore egiziano Patrick George Zaki e il caso di Giulio Regeni sono fin troppi per non far scattare l’allarme da parte di chi, come l’avvocato della famiglia Regeni Mohamed Lotfy, conosce bene i metodi della polizia egiziana in casi come questi. «Patrick è stato arrestato per i suoi studi in Italia – ha detto Lofty in un’intervista a la Repubblica – Chissà che paranoia si sono costruiti. A prenderlo è stata la Sicurezza nazionale, il servizio segreto civile, lo stesso coinvolto nel sequestro, tortura e omicidio di Giulio, e che ha cinque ufficiali indagati per questo dalla procura di Roma. Lo hanno interrogato con metodi che, purtroppo, conosciamo bene. Le torture. E gli chiedono il perché del suo viaggio in Italia, perché studiasse da voi e che cosa facesse nel vostro Paese».
Zaki è scomparso per almeno 24 ore non appena atterrato in Egitto, come riporta il Corriere della Sera sulla base del racconto dell’avvocato Wael Ghally che lo ha preso in carico. Per poi ricomparire a 120 chilometri dal Cairo in un’aula della procura generale: «Pieno di segni delle botte ricevute – dice l’avvocato – Ma sono stati attenti. Professionali. Hanno usato cavi elettrici “volanti”, nessuno strumento che lasciasse intravedere l’utilizzo dell’elettroshock. Si tratta di vere torture. Cose che in Egitto sono diventate normali, se uno si occupa di diritti e libertà».
L’interrogatorio di Zaki sarebbe durato almeno sette ore, portato bendato in una caserma dei servizi di sicurezza, senza poter vedere nessuno. E non è un caso, secondo l’avvocato Lofty, che l’arresto di Zaki si avvenuto in questi giorni, poco dopo le ultime manifestazioni in piazza Tahrir: «Ci sono stati moltissimi arresti di chiunque abbia manifestato dissenso. E non è un caso che nello stesso periodo, quattro anni fa, Giulio fu sequestrato. Noi siamo stanchi di essere vittime di una paranoia di regime che ci controlla e ci spia 24 ore su 24 – aggiunge – Stanchi di vivere in un Paese che ci vuole dire che cosa dobbiamo fare, che cosa dobbiamo dire».
«Mia moglie è stata arrestata proprio poche ore dopo una nostra lunga conversazione di lavoro con la famiglia Regeni, nella quale abbiamo parlato di Giulio e delle indagini. È stata in carcere per sette mesi, ora è a casa ma si deve recare in caserma periodicamente per firmare. Siamo controllati ogni minuto. Ci vogliono fare stancare. Vogliono impaurirci. Ma noi siamo qui: a chiedere all’Europa – sottolinea – di difendere la nostra libertà, la nostra democrazia. Per Patrick, per gli egiziani. E per Giulio».
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