Lavoro, cos’è il “deep acting” e perché può aiutarti ad essere più felice sul lavoro – Lo studio
Chiunque lavori in un ufficio è destinato a passare circa un terzo del proprio tempo in compagnia dei colleghi. Inevitabilmente, il lavoro diventa una parte fondamentale anche della propria vita sociale.
Andare d’accordo con i propri colleghi conviene a tutti. Ma qual è il modo migliore per farlo? Meglio mantenere dei rapporti superficiali ma cordiali, meglio fingere e recitare una parte o essere sinceri? Uno studio di Allison Gabriel, docente all’università dell’Arizona, pubblicato recentemente sulla rivista Journal of Applied Psychology, una delle prime dieci al mondo, propone una soluzione.
Cos’è il deep acting?
Letteralmente “recitazione profonda”, non richiede all’individuo di fingere o di comportarsi in modo falso, poco autentico o addirittura disonesto. La recitazione consiste nel fatto di concentrarsi sullo stato d’animo desiderato, quindi di abitarlo e renderlo proprio.
Concetto ormai “di casa” nella psicologia del lavoro, descrive un tipo di lavoro emozionale in profondità anziché in superficie. Da qui il nome. Nel luogo di lavoro può voler dire, come viene spiegato nello studio da Alison Gabriel, concentrarsi semplicemente sul fatto di voler andare d’accordo con i propri colleghi e abitare questo stato d’animo.
Recitare bene aiuta sul lavoro?
Conviene dunque recitare sul lavoro? Secondo lo studio condotto dalla squadra di Gabriel, in cui sono state prese in considerazione le risposte di circa 2.500 lavoratori, pare proprio di sì. Ma dipende dal tipo di recitazione, beninteso.
Le persone intervistate dai ricercatori sono stati suddivise in quattro categorie: “Regulators”, ovvero persone che tendono a fingere sul lavoro, o meglio a “recitare in superficie”, “non-actors”, ovvero persone che non modulano la propria emotività sul lavoro, che non usano filtri nel relazionarsi con i propri colleghi, “deep actors”, di cui sopra, e “low actors”, ovvero coloro che alternano forme di recitazione profonda e di superficie.
Dallo studio è emerso che i lavoratori che vivono con maggiore malessere il proprio lavoro sono i cosiddetti “regulators”: il frequente uso di “recitazione di superficie”, frequente per esempio tra chi deve spesso recitare una parte davanti ai propri clienti per esempio, è associato al “burnout” e a vari disturbi psicologici, come la depressione.
In cima alla gerarchia di benessere psicologico creata da Gabriel e i suoi colleghi troviamo, è quasi scontato dirlo, i “deep actors”. Ma c’è un dato curioso: non solo professano di stare meglio sul lavoro, ma sono anche fra coloro che sentono di essere “più autentici”. Pur recitando.
Foto di copertina: Sandra Molina on Unsplash