Liliana Segre: «Il male del lager mi perseguita ancora. Ho ricevuto l’elemosina, ero infelice e selvaggia» – Il video
È un racconto forte, emozionante, a tratti durissimo, quello di Liliana Segre, senatrice a vita, sopravvissuta all’Olocausto, ospite del Consiglio regionale della Lombardia dove ha portato la sua personale testimonianza sull’orrore dei campi di concentramento. «La mia famiglia era diventata invisibile, io ero stata scartata dalla scuola, le mie compagne dell’epoca si erano subito dimenticate del mio banco vuoto e gli “amici” erano diventati indifferenti», ha raccontato.
«La mia colpa era quella di essere nata»
Per sfuggire alle persecuzioni contro gli ebrei, Liliana Segre – com’è noto – provò a fuggire in Svizzera con il papà e i due cugini ma lì venne respinta dalle autorità del Paese elvetico e subito arrestata. A 13 anni finì in prigione: «La mia colpa era quella di essere nata». Da qui comincia l’orrore: dopo essere stata in prigione a Como, Varese e Milano, inizia il viaggio, dal binario 21, verso una «ignota destinazione», Auschwitz, un «luogo che nessuno aveva mai sentito nominare prima ma che poi è diventata la meta della tragedia».
«Volevo vivere, cercavo la vita»
«Nessuno può adattarsi all’orrore, al male altrui, indicibile e indescrivibile. Chi nega l’Olocausto ha successo perché è più semplice credere che questo non sia avvenuto che ammettere che l’uomo può arrivare a delle cose indicibili. Devo dire la verità, questo stupore per il male altrui e l’assoluta incapacità di rendersi conto che questo stava succedendo proprio a me mi ha perseguitato e mi perseguita ancora. Noi non guardavamo i morti, noi cercavamo di vivere. Come ho fatto a resistere? Perché cercavamo la vita».
«Ho ricevuto l’elemosina»
Poi il difficile rientro a Milano. Lì dove tutto era cambiato: le persone, i negozi, la stazione. Lei e la sua amica non avevano niente, né soldi né vestiti: «Un uomo ci diede l’elemosina, avevamo degli stracci addosso, da uomo. Era difficile ripresentarsi in una società civile che prima ci aveva respinto e che poi ci accoglieva di nuovo. Io non sapevo più stare con nessuno. Ero brutta, selvaggia e infelice».
Il ricordo del nonno Giuseppe
È stata l’occasione anche per ricordare il nonno, Giuseppe Segre: «Lui ebbe due figli: mio padre e mio zio, che era fascista. Lui aveva creduto nel fascismo e si era sposato in camicia nera. Poi, però, ha iniziato a ritagliare le foto dei matrimoni per vergogna». Suo nonno, intanto, si ammalò: aveva il morbo di Parkinson. Ma nemmeno lui riuscì a sottrarsi a quell’orrore. «Mio nonno, in quelle condizioni, pensate che non riusciva nemmeno a mangiare da solo, venne deportato e arrivò vivo ad Auschwitz».
La commissione Segre
Infine la senatrice a vita è tornata a parlare della commissione sull’hate speech: «Io al Senato della Repubblica sono portatrice di una mozione contro l’odio, in tutte le sue forme. Non c’è censura da parte della commissione, c’è solo il sentimento di chi l’odio l’ha visto praticare prima a parole e poi con i fatti. Non posso smettere di combattere, il mondo va verso una deriva di odio».
Video di Fabio Giuffrida per Open | Foto in copertina di Ansa
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