Coronavirus, come le due russe Guzel Neder e Alla Illyina sono fuggite dalla quarantena
Due donne, entrambe risultate negative al Coronavirus, ma a detta loro tenute in quarantena «senza ragione» «imprigionate». Due città lontane, due storie diverse, ma unite da una scelta comune: fuggire dall’ospedale per sottrarsi a quella che hanno definito una «reclusione forzata».
Guzel Neder e Alla Illyina hanno raccontato le loro storie prima sui social e poi sui giornali russi. Guzel Neder, 34 anni, ha detto, in un post su Intagram, che dopo essere tornata a Samara dalla Cina, suo figlio ha avuto la febbre a 37,3. «Abbiamo chiamato l’ambulanza e ci hanno detto che per escludere il coronavirus avremmo dovuto effettuare dei test in ospedale», ha raccontato la 34enne.
La donna quindi è andata in ospedale con il figlio. «Ci hanno detto che i risultati sarebbero stati pronti in tre giorni. Dopo tre giorni ho chiesto informazioni e ci hanno risposto che avremmo dovuto aspettare cinque giorni, poi ci hanno detto che sarebbero stati pronti in nove giorni». A quel punto la donna decide di chiamare direttamente il laboratorio che effettua le analisi e la rassicurano: «Se entro un paio d’ore non la richiamiamo per comunicarle il risultato positivo, allora non si deve preoccupare».
Guzel Neder rimane in attesa giorni, assicura, nessuna chiamata. A quel punto decide di lasciare l’ospedale. «Ci siamo calati dalla finestra, non c’erano altre vie d’uscita», spiega in un altro post in cui si difende dalle accuse di aver messo in pericolo la vita del figlio. «Mio figlio nel frattempo era guarito, non aveva più la febbre, ci tenevano lì solo per obbedire a “ordini dall’alto”».
Alla Illyina, invece, è fuggita a San Pietroburgo. Ha raccontato la sua storia prima sui social e poi a Fontanka.ru. Anche lei è stata di recente in Cina, una vacanza che è stata interrotta proprio quando è scoppiata l’epidemia coronavirus. Il 4 febbraio si è svegliata di notte con il mal di gola, ha chiamato l’ambulanza ed è stata portata in ospedale.
Il test è risultato negativo, ma alla donna è stato chiesto di rimanere un giorno in isolamento per precauzione. «Un giorno è diventato una settimana», ha raccontato e ha ideato un piano per la fuga. Ha osservato le abitudini dei sanitari, ha realizzato un specie di mappa della struttura. Poi dopo le 18, quando le è stata portata la cena, ha finto di dormire.
Per riuscire ad aprire la porta, protetta da una serratura elettronica, ha dovuto manomettere i cavi elettrici. «Ho studiato fisica all’università», ha spiegato. «Ero risultata negativa, ma ero stata messa in una gabbia», ha detto la donna. Intanto altre pazienti sospette hanno pubblicato sui social una canzone: «Vogliamo essere come Alla. Liberateci da qui».
Immagine copertina: Alla Illyina | Instagram
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