Migranti, la bozza integrale del Memorandum Italia-Libia: Roma offre a Tripoli mezzi e fondi
Eccolo, il famigerato memorandum Italia-Libia, rinnovatosi automaticamente il 2 febbraio scorso, con le modifiche proposte dal governo italiano. A pubblicare in esclusiva la bozza integrale della proposta di rinegoziazione è il giornalista Nello Scavo su Avvenire. Mentre Luigi Di Maio prosegue nel suo giro – ieri il suo staff lo ha definito “blitz” – in Libia: è appena atterrato a Bengasi per vedere Haftar, dopo il vertice di ieri con la “controparte”: il premier del governo libico Fayez al-Sarraj e il ministro dell’Interno del Gna, Fathi Bashaga.
Nella bozza compaiono alcuni rilievi sul rispetto dei diritti umani di migranti e rifugiati (vero e proprio punto debole – per usare un eufemismo – del memorandum). Compare, nota Scavo, la questione del «rilascio di donne, bambini e altri individui vulnerabili dai centri». Compare il tema della «chiusura di quei centri che, in caso di ostilità, siano più direttamente esposti al rischio di essere coinvolti nelle operazioni militari». Ma tanto manca. E la lettura del testo, poiché le parole sono importanti, racconta una precisa impostazione destinata a non sopire affatto e polemiche sul memorandum tra il nostro paese e un altro in guerra e dove i diritti umani non vengono rispettati.
I punti del Memorandum
C’è certamente la «collaborazione» tra Italia e Libia. Assolutamente confermata e mai stata in dubbio. Collaborazione nella gestione dei flussi migratori e inquadrata nel rispetto generico di «trattati e norme internazionali consuetudinarie di diritto umano», inclusi i principi e gli scopi della Convenzione di Ginevra sui rifugiati – convenzione che, come noto, in Libia non trova applicazione alcuna. D’altro canto nelle premesse si menziona esplicitamente il diritto internazionale «applicabile», mentre altrettanto esplicita è la preoccupazione di sottolineare gli interessi e gli equilibri necessari della controparte libica.
E c’è la conferma dei soldi in arrivo. Alla Libia continueranno ad arrivare mezzi ed equipaggiamenti, da Italia, Europa e comunità internazionale. Certo, i libici devono impegnarsi – ma questo era un principio già presente e anche già palesemente violato – «a non riarmare le imbarcazioni consegnate o che saranno consegnate dall’Italia». C’è l’impegno a completare, con il sostegno dei fondi europei, il sistema di controllo dei confini meridionali libici, ma anche «ad avviare programmi di sviluppo per creare opportunità lavorative ‘sostitutrici di reddito’ (Sic!) usando una perifrasi per non scrivere nero su bianco che quel reddito alternativo dovrebbe essere destinato a chi di traffici illeciti e di esseri umani vive in intere aree libiche.
I diritti umani
La questione del rispetto dei diritti umani è appaltata, come anticipato nei giorni scorsi, a Unhcr e Organizzazione internazionale per le migrazioni, le cui attività per l’assistenza e il supporto ai migranti soccorsi in mare dovrebbero, nelle intenzioni italiane, essere agevolate «sia nei punti di sbarco che nei luoghi in cui gli stessi saranno successivamente condotti». (E da lì poi, dove andranno? Cosa accadrà?). Posta la richiesta di chiusura e liberazione di donne e bambini, non c’è traccia di quando dovrebbe avvenire. A luglio, era stato lo stesso ministro dell’Interno libico a dire che i centri sarebbero stati chiusi.
Parlando dei centri poi si usa nella bozza l’eufemismo «di accoglienza». Di certo non si utilizza la definizione di «centro di detenzione»: eppure per quegli stessi centri, organismi e istituzioni internazionali parlano di «orrori indicibili» e di inferno in terra. «Ho discusso il piano di chiusura dei campi di detenzione dei migranti con le Nazioni Unite, è qualcosa su cui andremo avanti, perché ormai è solo un danno politico per la Libia. Nei nostri centri ci saranno 7mila migranti illegali, fuori ce ne sono centinaia di migliaia. E allora cosa servono questi centri se non a scatenare polemiche contro di noi?», diceva con serena realpolitik Fathi Bishaga, il ministro dell’Interno di Fayez al-Sarraj, a luglio.
Che cosa manca
La diplomazia è diplomazia, non c’è dubbio. E quindi nella bozza, si nota ancora su Avvenire, non c’è posto per parole come «stupri», «abusi», «tortura» usate dalle Nazioni Unite. C’è traccia, invece, della formula «visione olistica» nel passaggio che auspica l’implementazione della «cooperazione euro-africana». Pensare che, si ricorda ancora, Antonio Guterres, segretario generale dell’Onu, ha in più di un’occasione accusato di coinvolgimento diretto le autorità libiche negli «orrori indicibili» a danno dei migranti.
La Libia non ha mai firmato la Convenzione sui diritti umani. Ma il memorandum chiede al Governo di Accordo Nazionale l’applicazione, in un Paese che è, peraltro, in guerra. Nel paese manca anche una normativa nazionale settoriale che garantisca il rispetto dei diritti di migranti e rifugiati: la bozza di memorandum impegna la Libia a elaborarla. Sul ruolo di Unhcr e Oim: quel che è certo, per il momento, è che lo scorso 30 gennaio lo stesso Alto Commissariato delle Nazioni Unite per i rifugiati ha chiuso il centro per la raccolta e le partenze (Gdf) di Tripoli, aperto appena un anno fa.
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