«Alla mia piccola Sama»: l’assedio di Aleppo raccontato da una madre alla figlia: «Ho bisogno che tu capisca perché siamo rimasti»
«Dov’è mia figlia? Chi ha mia figlia?». Il pianto di un neonato, il rumore dei bombardamenti e la disperazione negli occhi di chi è rimasto. Una madre, un padre, e la loro figlia: Sama. Sono le immagini di Aleppo e di Alla mia piccola Sama, il documentario candidato all’Oscar arrivato nelle sale italiane il 13 febbraio. Firmato dall’attivista e cineasta siriana Waad al Kateab e dal regista Edward Watts, For Sama, nella versione originale, è una delle testimonianze più profonde e necessarie sulla guerra civile in Siria.
Siamo ad Aleppo nel 2016 durante l’assedio della città da parte del regime siriano con il supporto dei bombardamenti russi. E in una guerra fatta e raccontata, come spesso accade agli uomini, sono gli occhi di una madre e della sua piccola neonata a mostrare gli orrori.
La lettera alla figlia
Alla mia piccola Sama è una lettera d’amore della regista Waad al Kateab a sua figlia, una storia di resistenza, di speranza e di resilienza e quanto mai importante per scuotere le nostre coscienze. Nell’Aleppo assediata e colpita ogni giorno dai bombardamenti aerei, la regista filma ogni cosa, dai bambini feriti sul pavimento dell’ultimo ospedale rimasto nella città, quello in cui lavora suo marito, Hamza, al pianto disperato della madre che abbraccia il figlio senza vita chiedendogli di risvegliarsi. «Sama, sei la cosa più bella della nostra vita. Ma in che vita ti ho trascinata? Tu non hai scelto», si chiede la voce narrante della regista che chiede alla figlia di perdonarla per averla portata in un mondo di guerra.
«Sama, ho fatto questo film per te, ho bisogno che tu comprenda perché tuo padre e io abbiamo fatto queste scelte. La ragione per cui ci siamo battuti». La ragione sta negli occhi della bambina, capaci di ritrovare la speranza; nell’amore di una madre per la figlia; nella neve che cade dal cielo, nei piccoli attimi di quotidianità costantemente ripresi dalla telecamera di Waad che immortala anche il momento del matrimonio con il suo amico d’infanzia Hamza. La proposta e la dichiarazione d’amore inaspettata di un compagno di resistenza diventato l’amore della sua vita.
«Non pensavamo che il mondo l’avrebbe permesso»
«Filma! Filma! Fai vedere che cosa ci sta facendo il nostro presidente», grida una madre alla telecamera di Waad dopo aver perso un figlio. For Sama è il grido disperato di chi ha perso tutto, ma non la forza di raccontare, di risvegliare le coscienze di chi durante quei terribili momenti ha deciso di rimare in silenzio. «Non pensavamo che il mondo l’avrebbe permesso», dice con la sua voce flebile Waad alla figlia Sama quasi a volerle ricordare il perché delle loro scelte, il perché una madre e un padre abbiano deciso di rischiare la loro vita per raccontare ciò che non poteva andare nascosto e insabbiato.
La sua camera non perde neanche un attimo e raccoglie storie tragiche di perdita ma anche incredibili momenti in cui protagonista è la vita che continua, la sopravvivenza. Il dubbio di Waad pervade tutto il film: partire o restare. Fuggire significherebbe proteggere la vita di sua figlia ma anche abbandonare la lotta per la libertà per la quale ha già sacrificato così tanto.
Resilienza, resistenza e amore
Alla mia piccola Sama è tutto questo, è la testimonianza degli abusi e delle violazioni del presidente siriano Bashar al Assad sulla sua popolazione, la conferma dei bombardamenti degli ospedali. Ma di fronte all’orrore c’è anche la speranza e l’emozione quando una donna arriva in ospedale ferita, viene sottoposta a un parto cesario d’urgenza e il suo bambino, illeso per miracolo, torna a respirare.
Attimi racchiusi in 500 ore di girato che Waad al Kateab ha revisionato integralmente, grazie all’aiuto del regista Edward Watts. Per consegnare al mondo, e a sua figlia, la testimonianza di una resistenza guidata dalla luce di speranza e di vittoria racchiusa negli occhi di una neonata. For Sama è il film più urgente dell’anno. Non possiamo chiudere gli occhi. Lo dobbiamo alla Siria e ai suoi figli.
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