Sex Education, la seconda stagione all’insegna del “Me Too”
C’è una scena, verso la metà della seconda serie di Sex Education, in cui Aimee Gibbs (Aimee Lou Wood), una ragazza adolescente, entra in un autobus stracolmo di persone, come ce ne sono tanti in quasi tutte le città. Deve andare a scuola e porta con sé una torta che ha preparato per la sua migliore amica, Maeve. Salendo sull’autobus nota un giovane uomo, dallo sguardo gentile che le sorride. Dopo qualche istante lui si avvicina e comincia a masturbarsi su di lei.
Aimee urla, chiede aiuto, ma nessuno fa niente. Frastornata, imbarazzata, umiliata chiede all’autista di fermarsi e scende dall’autobus. Quando Maeve le chiede cosa è successo alla torta, Aimee minimizza: «Ah un uomo si è masturbato su di me e mi ha fatto rovinare la torta», risponde, lamentandosi del fatto che gli abbia rovinato il jeans. «Devi sporgere denuncia!» le risponde l’amica. «Perché dovrei? Questi jeans costavano due lire».
Tutto ok boomers?
Quante Aimee ci sono in Italia e al mondo? Quante donne hanno subito molestie sessuali, ma sopratutto quale percentuale è talmente abituata a essere oggetto di aggressioni che è portata ad accettarle passivamente, complice senz’altro un contesto culturale che tende a far passare le aggressioni per galanteria, per esuberanza. Ed è qui che entra in gioco il sistema educativo. Le scuole fanno abbastanza per insegnare oltre al funzionamento degli organi riproduttivi, alle forme di anticoncezionali anche le regole del consenso agli studenti? C’è sufficiente consapevolezza di cosa è lecito e cosa invece rappresenta un comportamento inappropriato o illegale?
Nel liceo britannico iper-americanizzato (si tratta di un allegro tributo al “feel-good” americano anche se, in realtà, la serie è girata in Galles) sono gli insegnanti e i genitori i primi a dover imparare come fare informazione sul sesso e sulla sessualità, a partire dall’isteria collettiva che segue una finta epidemia di clamidia con cui apre la serie. Sono gli studenti, la Gen Z che – ispirandosi ad alcuni illuminati boomer (come la madre di Otis) – finiscono per fare da apri-pista. A differenza della prima serie, la seconda è incentrata non tanto sulla celebrazione del sesso e della diversità sessuale (c’è anche questo) ma sul lato oscuro della carnalità e dell’inadeguatezza delle istituzioni – della scuola come della famiglia – che faticano a capire, indirizzare e proteggere adeguatamente gli adolescenti.
Forse non è un caso che l’episodio prenda spunto da un fatto realmente vissuto dall’autrice Laurie Nunn, ennesima conferma che la serie non sia adolescenziale nei suoi contenuti o nella sua forma, ma voglia essere invece una riflessione su come viene vissuto e soprattutto raccontato il sesso tra generazioni diverse. L’azzardo di Nunn è che i boomer possano davvero imparare qualcosa dalla Gen Z, che anziché essere ameba da social irrimediabilmente compromessi da una sovraesposizione alla pornografia, affrontano il sesso con coraggio, senza pregiudizi e con solidarietà. Come fanno le amiche di Aimee che vengono in suo soccorso affermando quello hanno in comune: la volontà di non tacere. Si tratta di un’immagine idealizzata delle nuove generazioni? Può darsi. Ma è comunque bella.
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