Quali informazioni sul SARS-CoV-2 sono davvero indispensabili per i non addetti ai lavori
Non è passato più di un mese da quando un focolaio di meningite aveva colpito diverse località del bergamasco. Al contrario del SARS-CoV-2 (Covid-19 è il nome della malattia), il meningococco C è un batterio iper-virulento. La piccola epidemia registrata a Bergamo costò la vita a due persone, con sei casi gravi in un mese e mezzo.
Non ne parliamo più grazie all’eccellente lavoro delle autorità sanitarie, che dovettero tener conto anche degli scenari peggiori, questi però, dati in pasto all’opinione pubblica, possono creare psicosi ingiustificate.
Il nostro è solo un parallelo, sul modo in cui sono state percepite le due emergenze. Lungi da noi fare paragoni tra virus e batteri. Nel caso del meningococco C, parliamo di un patogeno che ormai è di casa, esistono vaccini per prevenirlo e farmaci per curarlo.
Per SARS-CoV-2 il problema è diverso: non è virulento come il “cugino” della Sars, ma è decisamente rapido nel diffondersi. Sappiamo da recenti studi che può trasmettersi anche da pazienti asintomatici, inoltre esistono i «super diffusori», ovvero soggetti in grado di contagiare un grande numero di persone in poco tempo.
In tutto il mondo ci si impegna a evitare che il nuovo coronavirus diventi endemico, trasformando l’epidemia cinese in una pandemia globale. Non esiste ancora un vaccino, e si sperimentano farmaci già efficaci, ma per altre malattie, come quelli utilizzati nel trattamento dei pazienti sieropositivi.
Quanto sono rilevanti certe informazioni su SARS-CoV-2, per chi non è un medico?
La prudenza ci sta, il panico no. Potremmo chiederci per esempio quale rilevanza abbia sapere che il nuovo coronavirus possa resistere sulle superfici fino a nove giorni.
Sono cose di cui tener conto – da sempre – e che spiegano le ragioni per cui si raccomanda di lavare bene le mani: vale per buona parte dei patogeni, così eviteremo di contrarre altre malattie con sintomi sospetti, alleggerendo il lavoro, già delicato, di chi cerca di evitare che SARS-CoV-2 metta radici a casa nostra.
Il Guardian ha pubblicato recentemente un articolo, dove si riportano alcune affermazioni del professor Gabriel Leung, epidemiologo di fama mondiale dell’università di Hong Kong. Apprendiamo così che «la maggior parte degli esperti pensava che ogni persona infetta avrebbe continuato a trasmettere il virus a circa 2,5 persone. Ciò ha dato un “tasso di attacco” del 60-80%».
Leung parla del «sessanta per cento della popolazione mondiale», definendolo «un numero tremendamente grande». Si tratta però di modelli, lo stesso epidemiologo non la definisce una eventualità molto probabile nell’immediato:
«Il 60-80% della popolazione mondiale verrà infettata? Forse no. Forse arriverà a ondate. Forse il virus attenuerà la sua letalità, perché certamente non lo aiuta uccidere tutti nel suo cammino, perché altrimenti morirebbe anche lui».
Anche ammettendo l’attendibilità teorica dei numeri emersi dai modelli, parliamo comunque di una propagazione che avverrebbe nell’arco di anni, presumendo che SARS-CoV-2 diventi pandemico, con l’eventuale negligenza dei sistemi sanitari mondiali. A cosa serve dare peso a questo genere di dati, se non vengono debitamente contestualizzati al grande pubblico?
Niente panico: ma il virus continua a essere potenzialmente pandemico
Intanto la recente impennata nel numero dei casi di contagio in Cina, ha subito fatto parlare di un «boom», poi smentito dall’Oms. L’epidemiologo Pier Luigi Lopalco l’ha recentemente definito un «artefatto della sorveglianza».
Pechino ha adeguato i suoi criteri per definire i casi di contagio, con metodi diagnostici e di notifica, decisamente meno lacunosi di quelli utilizzati inizialmente, ispirando voci di un presunto tentativo della Cina di censurare la reale entità dell’epidemia.
Teniamo presente che in rete si sostiene anche la tesi – infondata – in base alla quale attorno a Wuhan, sarebbero stati cremati i corpi di decine di migliaia di vittime del coronavirus. Per quanto banale, bisogna chiarirlo almeno una volta: non stiamo combattendo contro l’ebola.
La maggiore preoccupazione è evitare che il virus diventi pandemico, perché potenzialmente lo è. La probabilità che il patogeno uccida è molto bassa, ma non impossibile. Questo significa che in un paese densamente popolato come la Cina, si registreranno comunque tante vittime.
Nel momento in cui scriviamo si contano 1384 morti (1318 nella regione di Hubei, dove si trova l’epicentro dell’epidemia). I casi confermati sono 64.447 (63.862 in Cina). In tutto il mondo sono stati dimessi dagli ospedali 7050 persone (3893 nella regione di Hubei).
Questo non significa che possiamo permetterci di abbassare la guardia, ma nemmeno farci prendere dal panico. Gli addetti ai lavori hanno il compito di pensare allo scenario peggiore, a noi invece spetta il compito di seguire le linee guida del Ministero della salute.
Sarebbe bello avere anche qualche consiglio utile contro il razzismo verso i cinesi, che in questi giorni qualcuno pensa di poter giustificare, alimentando un altro genere di epidemia: quella della disinformazione e dell’intolleranza.
Foto di copertina: Pixabay | Una rappresentazione grafica del nuovo coronavirus.
Per saperne di più:
- CORONAVIRUS: gli ultimi aggiornamenti a Tutta Salute con Silvio Garattini (farmacologo e presidente dell’Istituto Mario Negri Milano)
- IL VIRUS 2019-nCoV: CALMA E SANGUE FREDDO
- CALMA E SANGUE FREDDO (parte no. 2)