Niente indeterminato, niente mutuo. Se un vecchio modo di pensare il lavoro penalizza la stabilità dei giovani
Come è cambiata l’idea di stabilità nel corso degli ultimi decenni? Per la concezione delle banche, nemmeno di un tono. È stabile chi ha un rapporto di lavoro continuativo da oltre 18 mesi, chi ha un contratto da dipendente a tempo indeterminato e chi ha uno stipendio non suscettibile al numero di ore lavorate. A loro, e solo a loro, è concesso accedere alla «montagna di liquidità» (come l’ha definita Tito Boeri) che le banche mettono a disposizione per i mutui.
Se si guardano le cose da questa prospettiva, le generazioni degli under 36 sembrano essere il prototipo della precarietà e dell’inaffidabilità finanziaria. Meglio rimanere sicuri sugli anziani, sembrano dire le banche, e puntare a concedere prestiti a chi ha davanti a sé la sicurezza di una pensione.
A rafforzare questa credenza c’è la scarsa attenzione che la legislatura italiana pone sul tema del lavoro autonomo.Ancora lontani dal creare una rete di tutele sociali, il freelance – o chiunque tenti una strada diversa dalla subordinazione – viene lasciato a se stesso, portando avanti la vulgata della precarietà come unica dimensione al di fuori del contratto da dipendente. La conseguenza, per quanto riguarda il lato abitativo (ma non solo), è che le banche non rischiano e i giovani non ci provano più nemmeno a chiederlo.
«Certo che esiste un problema», ha dichiarato a la Repubblica Giovanni Sabatini, direttore generale dell’Abi (l’Associazione bancaria italiana) Ma non è creato dalle banche, è del Paese: che non cresce, non crea lavoro, non dà occupazione ai giovani». Ma la verità, aldilà degli interessi della parti, è che è un circolo vizioso: meno si investe sul futuro, meno futuro si avrà a disposizione. Meno si dà fiducia ai giovani, e meno i giovani si sentiranno di poter rischiare.
Un futuro in affitto
Stando all’ultima rilevazione di MutuiOnline.it, la quota di mutui erogati a chi ha fino a 35 anni si è dimezzata nel giro di 15 anni. Si è passati dal 44,8%
del 2006 all’attuale 22,6%. E una variazione simile si è avuta anche nelle richieste, che sono passate dal 49,2% al 27,2% – il restante 20% si è perso tra le due fasce di età superiori, dai 36 ai 55 anni. Di base, quindi, solo un mutuo su 5 va nelle tasche degli under 35. Se si guardano le fasce di età più nello specifico, si vede che a essere meno finanziati sono gli under 25 (con uno 0,6% di mutui erogati), seguiti dalla fascia tra i 26 e i 35 (con il 22% dei mutui erogati).
Le fasce più coperte nell’ultima rilevazione dei mesi del nuovo anno sono quelle tra i 36 e i 45 e quelle tra i 46 e i 55 anni. Considerando l’annata completa, per gli under 35 è stato il 206, con un totale di 27,1% di mutui erogati. Certo, i mutui sono alti e spesso di difficile onere per chi guadagna attorno ai 1.000/1.500 euro al mese come molti di coloro che si affacciano al mondo del lavoro. «Non vogliamo rischiare», dicono dalle banche.
Ma quanti ragazzi e quante ragazze vivono da soli, senza avere le spalle coperte, facendo sacrifici e pagando comunque puntualmente un affitto ogni mese – che può arrivare a chiedere fino al 40% del proprio stipendio? Quello dei costi elevati che gravano sulle giovani generazioni (e non solo) è un altro enorme problema. Ma che non va sovrapposto a quello dell’erogazione dei mutui.
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Foto copertina: Tom Rumble su Unsplash