Siria: l’inferno di Idlib. Tre milioni di persone schiacciate dai giochi di Ankara, Mosca e Damasco
Una catastrofe umanitaria senza precedenti sta per abbattersi su nordovest della Siria. A quasi dieci anni dall’inizio delle proteste contro il regime di Bashar al Assad ora l’epilogo di questa guerra potrebbe presto trasformarsi in una delle più immani tragedie del ventunesimo secolo. Dall’inizio dei bombardamenti a Idlib, l’ultima sacca di territorio in mano ai ribelli con la presenza anche di forze jihadiste, più di 900mila persone sono rimaste sfollate, di queste 500mila sono bambini.
Le operazioni congiunte portate avanti sul terreno dal regime di Damasco con il supporto e la copertura aerea della Russia, hanno costretto il vicino turco a un atteggiamento più assertivo. Recep Tayyip Erdogan minaccia un intervento di Ankara nel Paese se Damasco dovesse continuare a violare gli accordi di Sochi del 2018 su una de escalation nella regione di Idlib.
Assad: «Vicina la sconfitta totale dei nostri nemici»
Negli ultimi giorni sono aumentati gli attacchi delle forze lealiste sia ai proxy siriani della Turchia sia alle stesse forze turche presenti nel nordovest del Paese portando a uno scontro tra Erdogan e Assad, come non se ne vedevano da anni. E in mezzo Mosca prova a fare da pacere, ma la corda è sempre più sottile mentre l’epilogo, quanto meno formale, del conflitto siriano sembra volgere al termine. Con la riconquista di Aleppo e la riapertura del suo aeroporto Bashar al Assad ha assicurato che l’offensiva nel nord-ovest proseguirà mandando un messaggio chiaro al suo omologo turco.
In un discorso trasmesso nei giorni scorsi dalla tv di Stato siriana, Assad ha commentato la conquista delle forze di Damasco della cintura periferica sud-occidentale di Aleppo. E si è poi indirettamente rivolto a Erdogan, che da giorni pronuncia minacce nei confronti di Damasco di fronte all’offensiva russa e governativa siriana contro Idlib: «La liberazione prosegue nonostante le urla al vento pronunciate da nord (Turchia)», ha detto il presidente siriano apparso in tv in maniera inedita. «Siamo pienamente coscienti che questa liberazione non significa la fine della guerra, né il crollo dei complotti, né la scomparsa del terrorismo… ma – ha aggiunto Assad – questa liberazione indica il preludio alla sconfitta totale dei nostri nemici».
La provincia di Idlib è stata conquistata nel marzo del 2015 da forze di opposizione al regime e da gruppi jihadisti. La forza dominante nella regione nord occidentale è quella del gruppo Hayat Tahrir al Sham, un’organizzazione ombrello nata nel 2017 da una scissione formale con al Qaeda e bollata dall’Onu come terroristica.
Una catastrofe annunciata
Con l’intensificarsi dei bombardamenti russi, dopo che proprio ieri Mosca si è opposta all’adozione da parte del Consiglio di sicurezza dell’Onu di un cessate il fuoco, la situazione è sempre più critica per le 3 milioni di persone presenti nella regione. Con la riconquista da parte di Damasco di Aleppo, Homs e la Ghouta orientale, famiglie, attivisti e cittadini vicini all’opposizione sono andati a confluire nella provincia nordoccidentale, vicino al confine turco. E ora le operazioni lanciate da Bashar al Assad, con il sostegno russo, potrebbero innescare una catastrofe umanitaria di proporzioni e dalle conseguenze inimmaginabili.
Schiacciati in una sacca di territorio molto ristretta, e colpiti anche dal freddo pungente, dalla mancanza di cibo, acqua e di un riparto adeguato, sempre più rifugiati potrebbero scappare ancora una volta nella vicina Turchia. Una prospettiva che proprio il presidente turco Recep Tayyip Erdogan vorrebbe evitare, anche a fronte della chiusura delle frontiere da parte di Ankara che ospita già all’interno del Paese più di tre milioni di rifugiati siriani.
La minaccia di Erdogan
Il rais turco è quindi tornato a minacciare un intervento e ha intimato Assad a far rientrare i suoi entro i confini stabiliti a Sochi nel 2018 entro fine febbraio, ma la Turchia ha 12 check point nell’area dove negli ultimi giorni sono giunti ingenti rinforzi. Con 10 di questi circondati dagli uomini di Damasco una spirale di violenza può esplodere in ogni momento. Un’eventualità che Erdogan è sicuro che la Turchia è pronta ad affrontare.
Se Ankara consolidasse il proprio controllo su Idlib con un’operazione diretta a colpire gli islamisti e limitare Assad, porrebbe le basi per una nuova trattativa con Mosca, al cui tavolo si siederebbe con una mano più forte. Il rischio di un’operazione militare mirata contro il solo Assad sarebbe troppo pesante da sostenere nell’ottica dell’alleanza con Mosca e porrebbe la Turchia dallo stesso lato dei gruppi terroristici di matrice islamica che Damasco sta invece bombardando.
Ankara teme di perdere l’opportunità di far confluire molti dei rifugiati presenti in Turchia nelle sacche di territorio della Siria nord occidentale, mettendo cosi in atto il suo programma “etnico” per ripopolare l’area con profughi siriani e garantirsi una forma di controllo soprattutto sulle aree curde. Nel caso in cui Assad dovesse riconquistare Idlib, ed è sempre più vicino a farlo, la Turchia perderebbe la leva politica necessaria per influire sul futuro del Paese.
Il rapporto tra Mosca e Ankara
Anche il ruolo di Mosca si fa sempre più debole: deve decidere se mettere fine alle sue ambiguità, sostenendo pienamente il presidente siriano o trovare un accordo per accontentare Ankara. Ma «siamo molto lontani dal punto che volevamo raggiungere» con la Russia su Idlib, «questo è un fatto. Ma i negoziati continueranno», ha detto il presidente turco Recep Tayyip Erdogan.
«Purtroppo – ha aggiunto Erdogan – né le discussioni condotte nel nostro Paese e in Russia (concluse ieri, ndr) né i negoziati sul terreno ci hanno permesso di raggiungere il risultato che volevamo». E mentre Mosca, Ankara e Damasco sono sempre più lontane dal trovare un accordo che soddisfi tutte le parte, a farne le spese sono le tre milioni di persone schiacciate dall’inazione dell’occidente, dell’Europa e della comunità internazionale e dai giochi di potere di potenze rivali.
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