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Coronavirus, lo scontro tra professori: perché Burioni ha ragione

24 Febbraio 2020 - 13:48 Juanne Pili
Gli allarmismi sono sempre sbagliati, non di meno abbassare la guardia potrebbe essere anche peggio

Il virologo Roberto Burioni ha recentemente risposto alle affermazioni della collega Maria Rita Gismondo dell’Ospedale Sacco di Milano, sulla polmonite provocata dal nuovo Coronavirus, definita da Gismondo «poco più che una influenza». La dottoressa invita ad abbassare i toni: «Leggete! Non è pandemia! Durante la scorsa settimana la mortalità per influenza è stata di 217 decessi al giorno! Per coronavirus 1».

Burioni ribatte facendo notare che «in Italia sono segnalati 132 casi confermati, mentre i contagi sono saliti a 152 – e 26 di questi sono in rianimazione (circa il 20%). Sono numeri che non hanno niente a che vedere con l’influenza (i casi gravi finora registrati sono circa lo 0,003% del totale)».

Perché SARS-CoV2 deve preoccuparci?

Anche qualora non si trattasse di una malattia paragonabile a una normale influenza, sappiamo comunque che nel 95% dei casi Covid-19 non provoca complicazioni, e può essere mortale nei soggetti col sistema immunitario indebolito per altre ragioni. Il problema, come avevamo già notato consultando epidemiologi come Pier Luigi Lopalco, è che informazioni utili agli addetti ai lavori – che devono pensare alle eventualità peggiori – vengono date in pasto all’opinione pubblica, senza contestualizzare adeguatamente. Ma se si sbaglia nel versante allarmista, dobbiamo stare attenti anche all’estremo opposto, ovvero quello di minimizzare il problema. Le preoccupazioni di virologi come Burioni vanno altrettanto contestualizzate. 

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Sono due le ragioni per cui è necessario impedire che il virus si diffonda:

  1. Per gli altri virus endemici in Italia esistono vaccini, oppure terapie antivirali;
  2. Se SARS-CoV2 diventasse endemico potrebbe anche potenziarsi, divenendo più pericoloso, azzerando tutti gli sforzi compiuti per isolarlo, sperimentare nuovi farmaci e attenuarlo per produrre un vaccino (procedimento che richiederà ben più di un anno).

Gismondo lamenta di dover pranzare al Sacco assieme ai suoi ricercatori a causa di questa «follia», ma è un sacrificio che va fatto, onde evitare che da una malattia estremamente veloce a diffondersi, pur essendo mortale in pochi casi, si passi a qualcosa di peggio, dopo aver messo radici in Europa.

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