Coronavirus, dilemma Stati Uniti: come reagirà il sistema sanitario privatistico – L’intervista
Se l’emergenza Coronavirus dovesse prendere piede negli Stati Uniti, il rischio è che il costo delle cure potrebbe essere a carico dei cittadini. Al momento è così. Il diffondersi del Covid-19 potrebbe creare qualche problema di natura economica, per quelle persone che non possono permettersi determinate cure, e di pubblica sicurezza, se non viene garantita a tutti la protezione dall’epidemia.
La storia del coronavirus negli Stati Uniti rischia di diventare anche la storia delle falle nella sanità americana, principalmente in mano ai privati, e che si regge su un sistema di assicurazioni mediche onerose. Il Miami Herald riporta la notizia di un giovane americano che, di ritorno dalla Cina con sintomi influenzali, si è sottoposto ad alcuni controlli medici.
Arrivato al Jackson Memorial Hospital di Miami, i medici hanno proposto al ragazzo una tomografia computerizzata per diagnosticare la positività al coronavirus. Ma poiché il ragazzo non aveva la disponibilità economica per quel tipo di test, ha chiesto di eseguirli un normale esame del sangue per l’influenza comune.
Fortunatamente, il giovane è risultato positivo all’influenza e la pratica si è conclusa così. Per questo tipo di esame, l’assicurazione gli ha notificato un costo di 3.270 dollari, di cui 1.400 a carico del paziente. Il costo della diagnosi per il coronavirus, invece, sarebbe stata proibitiva per il giovane.
«Come è possibile aspettarsi che normali cittadini contribuiscano a eliminare il rischio potenziale di contagio del coronavirus se gli ospedali addebitano ai pazienti un costo di 3.270 dollari per un esame del sangue e un tampone nasale?», si domanda il ragazzo.
La sua storia è il pretesto per chiedere al professor Gianluca Pastori, esperto di Stati Uniti dell’Università Cattolica e dell’Ispi, se il sistema sistema sanitario degli Usa sarà in grado di reagire se il coronavirus si diffondesse nel Paese.
È possibile che la prevenzione per la diffusione del coronavirus sia a carico dei singoli cittadini?
«È vero che il sistema sanitario americano è in larga misura privatistico. Ma una componente di intervento pubblico esiste per determinate categorie considerate bisognose. Non è comunque universale, quindi riguarda solo alcuni tipi di interventi medici e per una parte molto limitata della popolazione. In una situazione come quella rappresentata dal Covid-19, mi aspetterei che gli Stati Uniti trattassero l’epidemia più in termini di emergenza nazionale che in termini sanitari. Ciò garantirebbe l’accesso a ulteriori fondi di bilancio che potrebbero coprire le spese di diagnostica».
Oltre ai numeri, ci sono storie individuali di persone che potrebbero sottrarsi – fino a quando non saranno garantiti gratuitamente – ai test diagnostici.
«Questo è uno dei grandi problemi della sanità americana: non essendoci una copertura di tipo universale possono esserci questo tipo di rischi individuali che minacciano anche la tenuta del sistema generale. Certo è che, in questo momento, negli Stati Uniti il coronavirus riguarda da vicino ancora situazioni isolate, a differenza dell’Italia. In questo caso il sistema americano continua a operare secondo il principio privatistico, attraverso il pagamento di prestazioni a prezzi appunto americani – quindi molto alti -. Nel momento in cui si presenterà un’emergenza Covid-19, l’amministrazione centrale dovrà trovare il modo di stanziare dei fondi da destinare alla sanità, altrimenti l’epidemia sarebbe inarrestabile».
Non bastano i programmi di assistenza sanitaria pubblica già in vigore?
«I programmi come Medicare sono rivolti agli anziani e agli indigenti. Permane, però, la logica che l’intervento dello Stato è residuale. Questo è uno dei temi più importanti della campagna elettorale dei Democratici: i candidati stanno promuovendo, ognuno secondo i propri criteri, l’estensione delle coperture pubbliche per la sanità».
Possiamo considerare il sistema sanitario americano, nella sua totalità, di ottimo livello?
«No, è un sistema a macchia di leopardo in cui ci sono realtà di assoluta eccellenza, ma che costano tantissimo. Scorrendo la lista verso le strutture meno care, la qualità delle prestazioni cala sensibilmente. Per riassumere, la qualità e l’eccellenza c’è, ma è riservata a chi se le può permettere. I sistemi sanitari europei, con la logica dell’accesso universale, salvo in alcuni casi, non hanno questo tipo di elitarismo medico. Questa composizione a macchia di leopardo vale anche dal punto di vista territoriale. La parte centrale del Paese è meno favorita rispetto alle aree costiere, seguendo sia un discorso di benessere economico sia per la densità abitativa, maggiore sulle coste. L’accesso all’assistenza sanitaria è problematico dove c’è una minore densità di popolazione».
Dal punto di vista economico, ci sono già delle evidenze di un rallentamento per la crescita americana?
«In realtà l’impatto in questo momento non è così visibile. Vero, è stato abbastanza forte sulle produzioni cinesi e di riflesso ne ha risentito l’import statunitense. Questo, in tempi brevi, ha un riscontro diretto sul settore dei consumi. Ma l’impatto diretto sull’economia generale americana, per ora, resta limitato. Ma temo che ci saranno delle conseguenze sulla crescita nel lungo periodo: nonostante il tema dei dazi con la Cina, i due sistemi economici rimangono fortemente integrati».
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