Turchia, Erdogan apre le porte dell’Europa ai rifugiati. Ma in Grecia c’è già una crisi umanitaria – Foto e Video
Nella tarda serata del 27 febbraio, decine di soldati turchi sono stati uccisi nei raid aerei lanciati a Idlib, la regione nel nord-ovest della Siria che da quasi 20 giorni è lo scenario dei combattimenti tra Damasco, Mosca e Ankara. La reazione del presidente turco Recep Tayyip Erdogan non si è fatta attendere: i confini con l’Europa sono stati aperti al passaggio dei profughi in fuga verso la Grecia, senza che venisse comunicata ufficialmente alcuna sospensione degli accordi del 2016 con l’Unione Europea.
A partire da quel momento, i social network in Turchia sono stati bloccati. Nessuna informazione ufficiale è circolata fino a che, nella mattina del giorno successivo (oggi, 28 febbraio), un alto funzionario turco ha dichiarato alla stampa: «Nella notte, il consiglio di sicurezza straordinario presieduto dal presidente Erdogan si è riunito e ha preso una decisione chiara: non chiuderemo più i nostri confini ai rifugiati che vogliono andare in Europa». Secondo fonti di stampa, l’apertura dei confini sarebbe inizialmente programmata per 72 ore.
Secondo i media turchi, e stando ad alcuni video riusciti a circolare, diversi gruppi di migranti avrebbero già iniziato il loro cammino verso il confine con la Grecia, nell’ovest della Paese. Le autorità greche hanno immediatamente annunciato l’intenzione di rafforzare i controlli ai confini con la Turchia, chiudendo subito dopo il valico di terra con la Turchia a Kastanies Evros.
La reazione dell’Ue
A quasi dieci anni dall’inizio delle proteste contro il regime di Bashar al Assad, più di 900mila persone sono rimaste sfollate, di queste 500mila sono bambini. Ora l’Ue, che insieme alla Nato è nel mirino di Ankara per non aver tenuto fede alle richieste (economiche e militari) della Turchia, e che non ha nessun interesse a riconoscere la forza di Erdogan, sta tentando di soffocare la questione prima che esploda.
«È ancora presto per una valutazione», ha detto il portavoce del Ministero degli Interni tedesco in una conferenza stampa a Berlino. «Osserviamo come evolve la situazione» in Siria ma «per il momento abbiamo solo informazioni giornalistiche» sulla presunta ondata di migranti verso l’Europa minacciata dalla Turchia.
Ma tra un braccio di ferro e un altro, tra una valutazione e un’altra, il vaso di Pandora sta per essere scoperchiato: l’emergenza umanitaria è una realtà impossibile da ignorare, tanto in Siria quanto in Grecia. Solo nelle isole dell’Egeo, infatti, sono bloccate dalle politiche di contenimento circa 38mila persone, tra cui 12mila bambini.
Le isole dell’Egeo e l’emergenza cronica
Era l’ottobre del 2019 quando, a pochi giorni dall’inizio dell’offensiva in Siria, il presidente Erdogan aveva iniziato a fare sul serio: «Se l’Ue e la Nato non ci supporteranno nell’operazione – aveva detto – la conseguenza sarà semplice: apriremo le porte e vi manderemo 3,6 milioni di migranti». Non c’era voluto molto per capire che il ricatto era già realtà: migliaia di sfollati avevano iniziato la fuga dalle proprie case.
Ma ancora prima delle parole di Erdogan, era già chiaro che gli accordi stipulati nel 2016 tra Turchia e Europa non avrebbero potuto risolvere la questione dei rifugiati. «Nel 2016 avete deciso di intrappolare queste persone sulle isole greche come fosse una misura necessaria e temporanea», ha detto a novembre il presidente internazionale di Medici Senza Frontiere Christos Christou.
«Vi avevamo avvertito delle conseguenze umanitarie che avrebbe avuto il vostro accordo con la Turchia. Abbiamo anche deciso di smettere di accettare fondi dagli stati membri dell’Unione Europea in segno di protesta. Oggi vediamo il risultato di quella decisione: uno stato di emergenza cronica e un ciclo continuo di sofferenza umana».
Ora, nei giorni della più grave crisi umanitaria mai registrata in quasi 10 anni di guerra, dopo aver visto morire i propri soldati sotto i bombardamenti (che Erdogan attribuisce agli aerei russi), la strategia della Turchia per sollecitare Nato e Ue ha riacceso i riflettori su una crisi che va avanti ormai da 5 anni.
La situazione a Lesbo
Ma che gli accordi siano stati risolutivi è tutto da dimostrare. Stando alle Ong che operano sul posto, la crisi a Lesbo è al suo picco critico. Il governo greco, guidato dal premier di destra Kyriakos Mitsotakis, si rifiuta di far accedere ai servizi sanitari pubblici le persone bloccate negli hotspot delle isole. Stando a quanto comunicato da Msf, almeno 140 bambini confinati sull’isola di Lesbo – fra cui alcuni neonati – non possono ricevere le cure necessarie per contrastare «malattie croniche, complesse e potenzialmente mortali».
«Bambini, donne e uomini stanno pagando il prezzo ingiusto delle politiche migratorie basate sulla deterrenza», ha dichiarato Tommaso Santo, capomissione di Medici senza Frontiere in Grecia. «Negare ai bambini che soffrono di gravi malattie l’accesso alle cure mediche, è solo l’ultima misura cinica che va oltre ogni immaginazione».
Oltre agli accessi negati alla sanità, il sovraffollamento degli accampamenti provvisori (almeno in teoria), causato dalla rigida burocrazia di identificazione e dalle arrugginite politiche di redistribuzione dei protocolli bilaterali, ha provocato numerose rivolte dei residenti nei campi, diversi incendi e conseguenti morti. L’ultimo episodio risale ai primi giorni di febbraio, quando i rifugiati e i migranti del campo Moria di Lesbo hanno protestato chiedendo di essere portati sulla terraferma: l’unica conseguenza è stata la repressione e l’arresto di 40 persone.
Foto copertina: Medici Senza Frontiere, rifugiati nel campo di Lesbo
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