Idlib, Ankara pronta a un intervento contro Damasco: il conflitto siriano vicino all’atto finale
Gli attacchi aerei del 27 febbraio alle postazione turche nella provincia di Idlib, nel nordovest della Siria, dove 33 soldati di Ankara sono rimasti uccisi, rappresentano il giro di boa di un conflitto quasi decennale che si presta a entrare in uno dei suoi momenti più drammatici. L’offensiva del regime siriano, con il supporto russo, rischia di innescare un confronto con la Turchia che potrebbe avere conseguenze umanitarie devastanti, in una regione dove, citando l’Onu, è in corso «la più grande catastrofe umanitaria» dei nostri tempi.
Con l’uccisione dei suoi soldati Recep Tayyip Erdogan è pronto a una ritorsione paventata da settimane, tanto che il presidente turco ha subito convocato un consiglio di sicurezza straordinario per decidere la controffensiva. Nelle ultime ore Ankara ha lanciato diversi missili terra-terra contro un convoglio militare governativo siriano e miliziani lealisti nel nordovest del Paese.
Ma non solo. Con l’Europa girata dall’altra parte, Erdogan ha giocato ancora una volta la carta dei rifugiati aprendo le frontiere con la Grecia al passaggio dei profughi bloccati in Turchia nell’ambito dell’accordo sui migranti raggiunto con Bruxelles nel 2016.
E mentre l’Europa invita a un cessate il fuoco, la Nato sollecita una de escalation. «Condannando gli attacchi da parte del regime siriano nella provincia di Idlib, ho chiestoo di fermare l’offensiva, serve una de-escalation a questa situazione pericolosa e si torni al cessate il fuoco», ha detto il segretario generale della Nato Jens Stoltenberg in un colloquio con il ministro degli Esteri turco Mevlut Cavusoglu.
Anche dall’altra parte dell’Atlantico è arrivato forte e chiaro il sostegno alla Turchia tramite il dipartimento di Stato americano che ha «chiesto una sospensione immediata di questa odiosa offensiva da parte del regime di Assad, della Russia e delle forze sostenute dall’Iran».
Le mosse di Ankara e la tragedia degli sfollati
Le opzioni sul tavolo sono poche e la pazienza di Erdogan sembra essere giunta alla fine dopo che per mesi il leader dell’Akp aveva invitato Mosca e Damasco a un dietrofront dall’offensiva su Idlib.
Nella provincia nordoccidentale della Siria, ultima roccaforte in mano alle fazioni opposte al regime vivono circa 3,5 milioni di persone. Ma non solo. Nell’area operano anche i jihadisti legati all’ex gruppo qaedista Hayat Tahrir al Sham. Gli attacchi aerei indiscriminati di Damasco e Mosca su scuole e rifugi per sfollati stanno spingendo sempre più persone verso il confine turco, schiacciate tra le zone di bombardamento del regime e le forze turche che pattugliano una frontiera che Erdogan non ha intenzione di riaprire.
Per i 900mila sfollati e le quasi 4 milioni di persone sfollate dal resto del Paese l’unica speranza rimane un cessate il fuoco su cui però non c’è un accordo. La strategia portata avanti da Bashar al Assad e Vladimir Putin è quella messa in atto in tutto il Paese: spopolare con pesanti raid aerei i villaggi e le città della regione.
Nelle ultime settimane le forze siriane hanno inoltre visto un afflusso sempre maggiore di milizie sciite appoggiate dall’Iran provenienti da Iraq, Afghanistan e Pakistan, segno che il regime non ha alcuna intenzione di indietreggiare sulla riconquista di Idlib.
La difficile partnership tra Russia e Turchia e l’incognita di Damasco
Con gli attacchi del 27 febbraio la possibilità di un accordo tra Ankara e Mosca si fa sempre più distante. Erdogan ha più volte accusato il presidente russo Vladimir Putin di aver violato gli accordi di Sochi del 2018 per una demilitarizzazione della zona tra le forze governative e gli oppositori di Assad. Con l’appoggio russo e la riconquista della strategica autostrada M5 è difficile che il presidente alauita decida di concedere alla Turchia un cessate il fuoco.
La riconquista dell’autostrada che collega Aleppo a Damasco è per Assad una delle vittorie più importanti in questi 9 anni di guerra. Un vantaggio strategico militare che dà al presidente il de facto controllo del Paese con il collegamento della capitale politica con il centro nevralgico economico della Siria.
Ma ancora una volta le pedine sono tutte nelle mani della Russia. Dal 2015 Mosca è stata l’ago della bilancia del conflitto siriano. Con il suo intervento ha permesso ad Assad di rimanere al potere, coltivando parallelamente un’alleanza strategica con la Turchia in chiave anti Nato.
Spinta dalle aspirazioni egemoniche di Putin nella regione, Mosca hanno permesso alla Russia di conquistare in questi anni il controllo di due basi militari altamente strategiche, basi a cui difficilmente Mosca vorrà rinunciare: quella di Hmeimim e quella navale di Tartus. Quest’ultima vitale per l’accesso al Mediterraneo, alle porte di casa della Nato.
Per Mosca si tratta di decidere se sacrificare il sottile equilibrio con Ankara nella gestione dei rapporti regionali e internazionali che tanto hanno fruttato nella sua contrapposizione alla Nato e all’occidente, o continuare a sostenere Erdogan ritirando il suo supporto ad Assad.
Dall’altra parte difficilmente Ankara rischierà un confronto aperto con Mosca, ma se non si arrivasse a un accordo, un’avanzata turca in Siria sarebbe drammatica per le sorti delle quasi 4 milioni di persone senza casa, senza un riparo, lasciate a morire nell’indifferenza collettiva.
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