Così la Cina ha arginato il contagio di coronavirus (ma in Italia non funzionerebbe)
Secondo la vulgata, in Cina l’epidemia di Coronavirus è stata così esplosiva per via dei presunti bassi standard igienici e alimentari del Paese, per non parlare delle eventuali negligenze nella gestione dell’emergenza. In realtà le cose stanno diversamente, al netto degli errori iniziali, come il tentativo poi rivelatosi controproducente di tenere nascosta l’epidemia alla popolazione.
Science analizza un recente report dell’Oms, in cui conferma come le misure prese da Pechino siano state fondamentali nel ridurre il numero dei nuovi casi, proprio grazie a caratteristiche giuridiche molto diverse da quelle dei Paesi democratici, che giustamente devono tener conto del rispetto di tutti i diritti dei cittadini nel prendere misure straordinarie, anche quando ci si trova in uno stato d’emergenza.
La questione infatti non è scientifica, bensì legale e costituzionale. Fino a che punto gli interessi di sanità pubblica possono spingersi nell’imporre la ragione generale su quella del singolo? Il problema era stato già affrontato per la questione dell’obbligo vaccinale – non solo in Italia – anche se in ben altri contesti.
Possiamo permetterci gli insegnamenti della Cina?
Oggi la Cina ha decisamente meno posti letto occupati rispetto a qualche settimana fa. Parallelamente al calo di nuovi casi sono state adottate nuove terapie antivirali – anche attraverso il plasma dei convalescenti – che ormai superano il numero di nuovi contagi, stando almeno ai test effettuati.
In questo senso non dobbiamo dimenticare gli aiuti richiesti dal governo di Pechino all’Occidente, per far fronte alla carenza di presidi medici. Il report dell’Oms risale al 28 febbraio, ed è frutto di una missione organizzata insieme a Pechino. Unisce gli sforzi di 13 esperti stranieri e 12 cinesi nell’analizzare in cinque città colpite quanto le misure prese dalla Cina siano state efficaci.
Alcuni aspetti sono uno spauracchio in Occidente, perché minano i diritti civili, come i blocchi massicci e le misure di sorveglianza elettronica: tutti ingredienti di una delle storie orwelliane che spaventano – comprensibilmente – anche i più moderati spiriti liberali.
Breve cronologia dell’emergenza:
- 3 gennaio – Vengono comunicati all’Oms i primi dati sull’epidemia.
- 10 gennaio – Il genoma del 2019-nCoV (poi ribattezzato SARS-CoV2) viene reso pubblico. Vengono intanto formulati vari protocolli per diagnosticare la malattia polmonare (oggi nota come Covid-19). Nascono così i primi kit. I mercati dove vengono esposte carni provenienti da animali selvatici sono sottoposti a rigorosi controlli.
- 20 gennaio – L’epidemia viene inclusa tra le malattie infettive di classe B, oltre a quelle per cui è prevista la quarantena. Cominciano così a essere adottate procedure legali per il controllo globale del fenomeno.
- 23 gennaio – Vengono applicate misure rigorose per limitare il traffico a Wuhan, principale focolaio epidemico. Altri provvedimenti vengono presi per isolare la città. Si lavora maggiormente anche per comunicare il rischio in tutta la Cina.
- 8 febbraio – Il Consiglio di Stato emana un avviso sulla «ripresa ordinata della produzione».
Il regime cinese non ha funzionato quando poteva prevenire l’esplosione dei casi a Wuhan
Tutte le misure analizzate e riportate dagli autori del documento non sembrano poi così difficili da attuare, anzi sembrerebbe che anche altrove si sia fatto il possibile. Il punto è che tra le righe rimangono i modi autoritari con cui il regime di Pechino li ha messi in atto.
Gli autori ce lo fanno capire usando qualche eufemismo (il grassetto è nostro): «la Cina è unica in quanto ha un sistema politico che può ottenere la conformità del pubblico con misure estreme … Ma il suo uso del controllo sociale e della sorveglianza intrusiva non sono un buon modello per altri Paesi … Nessun altro al mondo può davvero fare ciò che la Cina ha appena fatto».
Secondo gli autori del report, «la Cina ha lanciato forse lo sforzo di contenimento delle malattie più ambizioso, agile e aggressivo della storia». Una cifra di questo potrebbe essere la costruzione di due ospedali appositi nell’arco di una settimana.
Per quanto riguarda la ricostruzione del percorso del virus da un contagiato all’altro, basti pensare che solo a Wuhan sono state mobilitate 1800 squadre da sei o cinque persone, col compito di rintracciare decine di migliaia di contatti; chissà con che riguardo nei confronti dalla privacy, altro concetto comprensibilmente sacro in Occidente.
Potremmo pensare che “a mali estremi estremi rimedi”. Effettivamente il virus è piuttosto veloce a diffondersi, anche a causa dell’esistenza di asintomatici e super diffusori, ma se la Cina ha avuto improvvisamente così tanti casi, questo è dovuto proprio alle stesse caratteristiche antidemocratiche del Paese.
Nella “pagella” dell’Oms troviamo infatti anche pessimi voti, per esempio si fa notare che i cinesi non sono stati molto bravi a «comunicare più chiaramente i dati chiave e gli sviluppi a livello internazionale»; la stessa mancanza che ha prodotto ritardi nel comunicare l’emergenza quando si era ancora in tempo, con tanto di medici ridotti al silenzio. Questo difficilmente potrebbe succedere in Occidente.
Foto di copertina: Wikipedia | Cittadini di Wuhan con le mascherine.
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