Il coronavirus, l’età e il caso: cosa ci dicono i dati sui focolai d’Italia e Germania in merito a un fenomeno fuori controllo
Un caso. Così una parte di esperti e studiosi ha risposto alla grande domanda sull’epidemia da coronavirus delle ultime settimane: perché in Italia? Lo ha detto anche Lothar Wieler, direttore dell’istituto Robert Koch, parlando in conferenza stampa dei pochi decessi in Germania, altro luogo dove il Covid19 minaccia di espandersi in maniera imprevedibile. «È un puro caso – ha dichiarato nel punto del lunedì con il ministro della Sanità Jens Spahn – che ci siano ancora così pochi morti in Germania rispetto all’Italia».
Accettare una risposta del genere è una fatica. Eppure, anche se spesso lo si dimentica, la casualità gioca un ruolo importantissimo nella scienza. Nel caso specifico del SARS-CoV-2, molto sembrerebbe essere dipeso da dove è nata l’emergenza. Da tutte le condizioni, cioè, che insieme contribuiscono a definire un focolaio. Chi è il paziente 0, ad esempio, e quali persone ha frequentato. O, ancora, quale evento ha innescato l’esplosione dei contagi, e quale fascia di età ha coinvolto.
Per quanto la Germania, come dichiarato da Wieler, nelle prossime settimane e nei prossimi mesi raggiungerà con buona probabilità i livelli dell’Italia (le statistiche mostrano le stesse curve su circa 8 giorni di ritardo). Per ora, i dati ci parlano di una situazione di partenza molto diversa. E, potenzialmente, di una modalità di contagio che seguirà linee di sviluppo diverse da quella italiana.
Le differenze tra Germania e Italia: l’età media di contagio e la mortalità
Li abbiamo visti tutti i video circolati su internet nei giorni scorsi, prima che il governo italiano decidesse – con l’aggiornamento del 9 marzo del dpcm – di mettere in “zona arancione” tutta la penisola. Ragazzi e ragazze che, avendo poco chiaro il rapporto tra la media dell’età a rischio e i processi di contagio, hanno creduto che la loro giovane età costituisse uno scudo contro l’infezione.
Per fugare ogni dubbio in merito, il presidente dell’Istituto Superiore di sanità (Iss) Silvio Brusafero ha pubblicato una nota in cui ha chiarito: «Il 22% dei pazienti positivi al tampone per Sars-CoV-2 ha tra 19 e 50 anni». È fuori dubbio che il virus colpisca anche le fasce d’età più giovani e che queste «contribuiscano alla propagazione dell’infezione» ai danni delle categorie più deboli.
E proprio attorno all’età del contagio e al conseguente tasso di mortalità si giocano le due principali differenze tra la situazione italiana e quella tedesca. Per quanto i meccanismi del virus non cambino oltrepassando i confini, tra Italia e Germania i filoni del contagio sembrano aver seguito traiettorie radicalmente diverse. Sono due, dunque, gli elementi che distinguono maggiormente i due paesi: il numero dei decessi e l’età media del contagio.
In Italia, stando ai dati forniti dall’Istituto superiore di Sanità lunedì, l’età media del contagio risultava essere di 60 anni (quando i positivi erano in totale 7985, ora sono 8514). L’età media dei decessi era di 81 anni – quando erano a quota 463 (ora sono 631). In Germania, invece, nel bilancio settimanale si è constatata una media di 40 anni tra i 1.281 contagi raggiunti, e i morti per ora sono solo 2 (una 89enne e un 78enne già gravemente malati).
Due Paesi, diversi focolai
Era il 21 febbraio quando il “paziente 1“, il 38enne Mattia, venne trasportato d’urgenza all’ospedale di Codogno per aver contratto il coronavirus. Si trattava per l’Italia del primo caso autoctono di Covid19 mai registrato dall’inizio dell’epidemia in Cina. Da quel momento in poi, 10 comuni del lodigiano e uno del Veneto (Vo) registrarono un’impennata fuori controllo di contagi, estendendosi poi a tutta la regione Lombardia, a buona parte del Veneto, scendendo fino all’Emilia Romagna e, a pioggia, nel resto d’Italia. I contagi maggiori si sono verificati inizialmente attorno ai pazienti più anziani – già ricoverati prima della scoperta del virus – e hanno riguardato, a primo impatto, buona parte degli operatori sanitari.
In Germania, si è scoperto, la traiettoria dei contagi è partita in maniera differente. Lo scorso 6 marzo, durante il Consiglio straordinario Europeo, il ministro Spahn aveva ammesso che in Germania c’erano «più focolai» di Covid-19, e che «la maggioranza dei casi di contagio non è più importata dall’Italia, dalla Cina o dall’Iran», ma arriva dall’interno del Paese stesso. Tra i focolai più importanti sul territorio c’è quello del distretto di Heinsberg, la città che registra il maggior numero di casi (attorno ai 400): qui, a metà febbraio, si è celebrata la festa di Carnevale che ha fatto esplodere l’epidemia in tutta la Renania Settentrionale-Vestfalia.
C’era poi il caso del paziente tedesco di 33 anni, che dopo aver frequentato a fine gennaio un socio cinese nella sua azienda di Monaco, si era lievemente ammalato ed era risultato positivo al coronavirus. L’uomo, poi guarito, aveva contagiato altri tre dipendenti della sua azienda, tutti casi non gravi.
In una situazione ancora poco chiara, le prossime settimane saranno decisive per comprendere se questi focolai hanno realmente segnato due diverse condizioni epidemiche, destinate a mantenersi diverse su più fronti. O se, al contrario, il procedere dei tamponi in Germania oltre le linee “del carnevale” segneranno un’impennata tra gli over 60, allineandosi così, davvero, con il caso italiano.
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