Coronavirus – Antonio, Pier Giorgio e gli altri: gli studenti per i quali le lezioni online restano un sogno (o quasi) – Il video
«Ciao, se vuoi possiamo anticipare l’intervista. La lezione online che avevo alle 14:30 mi è appena saltata per problemi di server». A scrivere è Antonio Todaro, uno studente della Statale di Milano al quarto anno di giurisprudenza. Antonio è anche uno dei rappresentanti degli studenti dell’università e, da quando è scattata la “quarantena” generale da Coronavirus, è fermo a casa sua a Cantù, nella provincia di Como. Da giorni il suo telefono non smette di vibrare: decine di studenti e studentesse si lamentano di non riuscire a seguire le lezioni online.
Letteralmente, l’espressione digital divide significa “divario digitale”. La discrepanza, cioè, che esiste tra chi ha accesso facile (e facilitato) a internet e alle tecnologie che lo supportano, e chi invece non ce l’ha. Secondo i dati dell’Istat, in Italia una famiglia su 4 non ha un collegamento a internet. La banda larga ultraveloce, inoltre, raggiunge solo il 24% della popolazione, contro una media europea del 60%. Come riporta uno studio di Milena Gabanelli e Rita Querzè per il Corriere della Sera, solo nelle tre regioni più colpite dall’emergenza – e cioè Lombardia, Emilia-Romagna e Veneto – , i Comuni o le frazioni in cui non è possibile svolgere uno smart working, un telelavoro o un e-learning efficiente sono ben 2.349.
Secondo le testimonianze raccolte da Open durante questa “verifica a sorpresa” imposta dalla pandemia, ai cattivi collegamenti alla rete – presenti anche negli istituti – si accostano divari culturali difficilmente ignorabili. Discrepanze che dimostrano come un salto rapido in una dimensione digitale non è qualcosa che si improvvisa d’emblée se negli anni non si è lavorato per portare tutta la popolazione sullo stesso livello.
Partire da Milano, capoluogo della regione più colpita dalla pandemia e città “smart” per definizione, sembrava essere la mossa più facile per raccontare una macchia d’Italia che è riuscita a servirsi del digitale per stare a galla e «non fermarsi» (Beppe Sala docet). Eppure così non è. E se anche a Milano la didattica a distanza risulta tutt’altro che una passeggiata, nelle altre zone del Paese le cose non vanno decisamente meglio. Per dare un quadro della disparità tra studenti non c’è bisogno di andare a cercare testimonianze nelle cittadine dell’entroterra, nelle aree montane o nelle campagne. Basta fare un giro nella capitale.
Le residenze universitarie a Roma e quell’internet che non c’è
A Roma esistono diverse residenze universitarie, concepite per studenti fuori sede o pendolari appartenenti a famiglie sotto un certo reddito. Ci sono quelle più centrali, come la struttura dietro la sede principale della Sapienza, in via Cesare De Lollis; ci sono quelle più grandi, come la residenza di Casal Bertone, quartiere a est della città, a ridosso dell’imbocco per l’A24; e poi ci sono quelle più isolate, come la Falcone e Borsellino di Tor Vergata, in via Via Mario Angeloni. Tutte hanno in comune la stessa cosa: la mancanza di una connessione internet adeguata.
«Devi essere fortunato», dice Pier Giorgio Fadanelli, coordinatore dell’associazione studentesca Link di Roma. «Se la tua stanza è vicina al router, allora buon per te. Se invece è la tua camera è in fondo al corridoio.. beh, allora puoi dimenticarti internet». Pier Giorgio spiega che sono anni che portano queste problematiche davanti alle Istituzioni. Ora che la situazione si è fatta emergenziale, i nodi sono venuti al pettine: «Immaginate di dover fare una quarantena in una stanza, magari condivisa con altri. E immaginate di avere una stanza in cui internet arriva a intermittenza o non arriva proprio. Come si fa a parlare di e-learning in queste condizioni? L’unica soluzione è aggregarsi nelle aule studio, in barba alle distanze di sicurezza».
Milano, smart city?
Valeria Rianna, senatrice accademica alla Statale, è ottimista. «Pur con difficoltà, la didattica sta andando avanti», racconta in un videomessaggio. «Ci sono degli intoppi, è vero, ma nulla che non si possa risolvere. Il coronavirus ci ha posto davanti a una grande sfida e le università milanesi stanno dando il massimo per fronteggiare tutti i problemi del caso».
Per Antonio, però, le cose non sembrano essere così lineari. «Il fatto che mi sia saltata la lezione non è un caso isolato», racconta. «Le difficoltà principali sono tre. La prima ha a che fare con il digitale in senso stretto: in Statale usiamo la piattaforma Ariel, ma ogni volta che tentiamo di connetterci in molti a un determinato orario (quello dell’inizio del corso) ci sono problemi. Il sistema si affolla, va in crash e addio lezione».
«La seconda e la terza difficoltà hanno a che fare invece con il rapporto tra i docenti e il digitale», continua Antonio. Anche laddove ci sia una buona connessione, la non dimestichezza con un certo tipo di approccio rallenta notevolmente lo svolgimento della didattica. «Ad esempio, capire su quale piattaforma il professore di turno ha caricato la lezione fa perdere moltissimo tempo. Ed essendo loro sommersi di email..raramente danno delucidazioni sul breve periodo».
«E poi c’è la difficoltà di ognuno di loro di gestire una lezione non frontale», spiega Antonio. «Passiamo dall’illustre giurista di vecchia data che non sa come registrare un video, tenere un microfono, o inquadrare bene la lavagna, ai professori più giovani che non sanno come gestire gli argomenti senza gli interventi degli studenti».
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