Coronavirus, è giusto geolocalizzare i positivi?
«Dai controlli effettuati in collaborazione con le compagnie di telefonia sulle celle telefoniche risulta che a Milano si sposta il 40% delle persone. Ancora troppe. Non uscite di casa, è assolutamente importante, perché questa battaglia contro il Coronavirus la vinciamo noi se restiamo a casa». A dirlo è stato, ieri 17 marzo, l’assessore al Welfare della Regione Lombardia, Giulio Gallera.
Parole che, tuttavia, hanno alimentato un pre-esistente ampio dibattito sulla legittimità o meno dell’utilizzo dei dati di tracciabilità degli spostamenti delle persone, rilevati attraverso la geolocalizzazione del loro smartphone e attraverso l’analisi delle celle telefoniche. Perché se da un lato questi dati potrebbero creare non solo una stima di persone in circolazione, ma anche uno “storico” nella ricostruzione della rete di contatti con i pazienti positivi, dall’altro lato potrebbero rappresentare un serio problema per la privacy individuale.
Il modello della Corea del Sud
Questo perché se il modello di geolocalizzazione e di raccolta parametri e di monitoraggio dei sintomi SARS-CoV-2 correlati predisposto dal Korean Center for Disease Control nella Corea del Sud è ritenuto da molti un esempio da seguire e da applicare in altri Paesi colpiti dal virus, è pure vero che tale tracciabilità è stata svolta su base volontaria da parte dei partecipanti, che hanno dato quindi il consenso temporaneo all’autorità sanitaria per l’utilizzo dei propri dati personali di mobilità per monitorare e contenere il numero dei contagi.
Il modello di Israele
In Israele l’Agenzia di sicurezza interna (Shin Bet) è stata autorizzata dal primo ministro Benjamin Netanyahu a utilizzare la posizione dei cellulari della popolazione per ricostruire lo storico dei movimenti delle persone positive ai test del SARS-CoV-2, al fine di identificare la catena delle persone potenzialmente contagiate, inviando loro un sms con ordine di sottoporsi a quarantena. Un funzionario anonimo ha dichiarato al New York Times che tale monitoraggio sarà «un’attività mirata, limitata nel tempo e limitata».
Il modello della Germania
In Germania l’operatore Deutsche Telekom ha trasmesso all’istituto sanitario Robert Koch Institute i dati dei propri clienti dopo averli anonimizzati per tracciare i flussi della popolazione. Tuttavia, a differenza del modello della Corea del Sud, non risulta possibile rintracciare o monitorare le persone infette, ma solo i flussi di persone nei loro movimenti quotidiani.
E in Italia?
In Italia, al momento, non esiste alcun modello ufficiale. Un team formato da l’Ad della rete di poliambulatori specialistici Centro medico Sant’Agostino, Luca Foresti, l’ex commissario per l’Agenda Digitale, Diego Piacentini, e il presidente dell’Accademia dei Lincei, Giorgio Parisi, unitamente ad altre aziende italiane, hanno sviluppato un’app pronta per essere messa a disposizione della Protezione Civile «che permetterebbe di tracciare in tempo reale i movimenti delle persone positive al coronavirus, di avvertire chi è entrato in contatto con loro ed è quindi a rischio contagio e di individuare sul nascere lo sviluppo di possibili nuovi focolai. Il tutto in modo assolutamente anonimo», così come spiegato da Foresti al Corriere della Sera.
Gli unici rappresentati istituzionale a menzionare l’utilizzo dell’analisi dei dati di geolocalizzazione sono stati l’assessore al Welfare della Lombardia, Giulio Gallera e l’assessore per la Ricerca, Innovazione, Università, Export e Internazionalizzazione della Lombardia, Fabrizio Sala. L’assessore Sala ha spiegato in conferenza stampa come la Regione Lombardia abbia ottenuto tali dati dalle compagnie telefoniche e che il dato utilizzato sia stato rilevato mediante l’utilizzo della connessione ai ripetitori che ricoprono le varie celle del territorio.
L’assessore Sala ha evidenziato come il calo più sostanziale della circolazione sia avvenuto subito dopo l’emanazione del decreto con le misure restrittive per contenere i contagi di coronavirus, salvo poi aumentare. Da qui è emerso il dato per cui il 40% dei milanesi continuino a spostarsi. Tuttavia è necessario sottolineare che in questa percentuale vengono inclusi spostamenti di 300-500 metri, ritenuti dall’assessore Sala superiori a quelli che dovrebbero essere fatti per “questioni di necessità”.
Restano però aperti numerosi interrogativi, poiché non è chiaro quali operatori specificamente abbiano inviato tali dati, oltre a non esser stato reso noto per quanto tempo tali dati verranno conservati, da chi e con quali scopi, né se sia stato effettivamente rispettato il Regolamento generale per la protezione dei dati (GDPR), in materia di rispetto della privacy. E, qualora dovessero intensificarsi le misure di contenimento del contagio, vien da sé domandarsi anticipatamente come e per quanto, non solo la Lombardia, ma l’intera Italia, intenda adoperare (o meno) questi sistemi di geolocalizzazione, in una logica di massima trasparenza verso tutti i cittadini.
In copertina: ANSA/Mourad Balti Touati | Metro 2 di Milano, 18 marzo 2020
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