Coronavirus. Lo smog può favorire l’epidemia col contagio a grandi distanze? Non è dimostrato, ma non aiuta certo i pazienti
Lo smog potrebbe influire sulla diffusione dell’epidemia di Covid-19? L’ipotesi, già avanzata nelle precedenti epidemie, torna a essere dibattuta nei media. Si parla di «effetto boost».
Secondo Leonardo Setti, coautore dello studio, «le alte concentrazioni di polveri registrate nel mese di febbraio in Pianura padana hanno prodotto un ‘boost’, un’accelerazione alla diffusione dell’epidemia. L’effetto è più evidente in quelle province dove ci sono stati i primi focolai».
Insomma, stando a questa ipotesi, la presenza di polveri sottili nell’aria, potrebbe accelerare la diffusione dell’epidemia.
Questo è quanto suggerito in un recente position paper della Sima (Società italiana di medicina ambientale). Alla ricerca hanno partecipato le Università di Bari e Bologna, avvalendosi dei dati Arpa (Agenzie regionali per la protezione ambientale), in correlazione con quelli della Protezione civile, sui casi di contagio nel nostro Paese. Parliamo insomma di una analisi correlativa, che non pretende di dimostrare un collegamento causale.
Di cosa parla il position paper
C’è un solo problema: perché nonostante il calo di emissioni registrato in Italia, assistiamo invece ad un aumento del numero di casi? La Cina, che ha un enorme problema dal punto di vista delle emissioni, ha registrato la stragrande maggioranza dei casi a Wuhan, mentre nel resto del Paese non erano altrettanto alti.
Certo, recentemente anche Pechino ha registrato un calo delle emissioni, ma l’epidemia sta cominciando a ritirarsi grazie alle discusse misure drastiche di contenimento attuate dal Governo cinese.
La ricerca, relativa ai dati disponibili fino al 3 marzo, evidenzia comunque una correlazione tra il superamento dei limiti di legge per almeno due tipi particolari di emissioni: i Pm10 ei Pm2,5, queste ultime considerate più pericolose, sono meglio definite «polveri sottili».
«La Pianura padana è in codice rosso anche nello studio: qui si sono osservate le curve di espansione dell’infezione che hanno mostrato accelerazioni anomale, in evidente coincidenza, a distanza di due settimane, con le più elevate concentrazioni di particolato atmosferico», riporta il Sole 24Ore.
Secondo il collega di Setti, Gianluigi de Gennaro «più ci sono polveri sottili, più si creano autostrade per i contagi. È necessario ridurre al minimo le emissioni».
Il documento non dimostra un collegamento causale diretto
A questo punto è bene fare delle precisazioni: un position paper non è uno studio scientifico – non come inteso solitamente sui media – bensì un saggio, dove gli autori esprimono una opinione, o “presa di posizione” – come suggerisce il termine – basata in questo caso, su dati e pubblicazioni scientifiche precedenti, ma non pretende di dimostrare con certezza un collegamento causale.
Il documento infatti ha almeno cinque limiti:
- Non spiega un collegamento causale tra permanenza nell’aria e l’effettiva trasmissione;
- Lo stesso limite vale per la correlazione con lo smog;
- Nonostante il tema sia stato dibattuto in passato per altre epidemie, contrasta con le raccomandazioni dell’Oms, dove si chiede di rispettare almeno un metro di distanza dal prossimo;
- Alcune affermazioni che troviamo nel testo sono per altro ben lontane da essere accertate, come la seguente: «un aumento delle temperature e di radiazione solare influisce positivamente sulla velocità di inattivazione del virus». Questo potrebbe anche essere vero se testiamo in laboratorio, mentre non è dimostrato per SARS-CoV2 nell’ambiente. Idem dicasi per la sua permanenza nell’aria o nelle superfici;
- Infine, non tiene conto del fatto che le polveri, come i Pm10 e Pm2,5, possono certamente giocare un ruolo, ma indiretto, in quanto possono indebolire l’organismo, favorendo le complicazioni.
La replica degli autori del Position paper
Gent.ma redazione di Open, gent.mo Juanne Pili,
abbiamo letto l’articolo a commento del nostro Position Paper. Contiene alcune informazioni corrette ed apprezzabili: ad es. il fatto che il documento sia appunto un “position paper”, quindi come primo lancio di un’idea scientifica a nostro parere fondata, ma non ancora supportata da un’evidenza tale da poter essere pubblicata su una rivista scientifica.
Ci sono però anche alcune inesattezze, che danno un’immagine scorretta dello studio presentato, soprattutto quando vengono evidenziati i limiti:
“Non spiega un collegamento causale tra permanenza nell’aria e l’effettiva trasmissione“; in realtà non pretendiamo di spiegarlo con i dati a cui abbiamo avuto accesso, ma facciamo riferimento a molta letteratura scientifica, già pubblicata su autorevoli riviste internazionali, che lo attestano.
“Lo stesso limite vale per la correlazione con lo smog“; idem.
Se non bastano, si veda anche Environment International (98, Pages 82-88, 2017), “The impact of ambient fine particles on influenza transmission and the modification effects of temperature in China: A multi-city study”, di Gongbo Chen et al. che dice questo:
«There are plausible mechanisms for a causal association between PM2.5 and incident influenza although it is beyond the scope of this study to address this directly. For example, previous studies have examined the ability of fine particles to transmit viruses and have shown that fine particles which have the influenza virus attached, can accomplish long-range transportation under certain weather conditions such as dust storm days (Chen et al., 2010). Fine particles with viruses attached can also be inhaled resulting in the direct delivery of the viral agents to the respiratory epithelial cells (Chen et al., 2010, Jaspers et al., 2005).”
E questo: «As a part of an integrated strategy for infectious disease control and prevention, the potential effect of environmental factors on disease transmission and infection should be taken into consideration. Findings from this study suggest that ambient PM2.5, particularly on cold days, increases the transmissibility of the influenza virus. Thus, following a period of heavy haze, preventive measures to prevent an increase in cases of influenza may be warranted both domestically and in neighbouring east Asian countries given the effect of emissions in China on surrounding countries (Kan, 2014)».
“Nonostante il tema sia stato dibattuto in passato per altre epidemie, contrasta con le raccomandazioni dell’Oms, dove si chiede di rispettare almeno un metro di distanza dal prossimo“: su “almeno un metro” siamo tutti d’accordo. Non stiamo certo affermando che non si abbia un contagio diretto. Abbiamo parlato di “boost”, di impulso, che può aumentare il contagio anche su misure superiori, non certo di unica via di infezione.
“Alcune affermazioni che troviamo nel testo sono per altro ben lontane da essere accertate, come la seguente: «un aumento delle temperature e di radiazione solare influisce positivamente sulla velocità di inattivazione del virus». Questo potrebbe anche essere vero se testiamo in laboratorio, mentre non è dimostrato per SARS-CoV2 nell’ambiente. Idem dicasi per la sua permanenza nell’aria o nelle superfici“. La frase è estrapolata dall’introduzione: non è una nostra affermazione, bensì, come correttamente riportato nel Position Paper, è nell’articolo di Despres et al. del 2012 (ref. 3).
“Infine, non tiene conto del fatto che le polveri, come i Pm10 e Pm2,5, possono certamente giocare un ruolo, ma indiretto, in quanto possono indebolire l’organismo, favorendo le complicazioni“. Questo è risaputo e non abbiamo certo voluto smentirlo! Ma che cosa c’entra qui e che cosa contraddice di quanto abbiamo scritto? Noi volevamo parlare di un altro possibile fattore, cioè che il particolato sia anche un veicolo, un carrier per il virus.
Auspicando che ci teniate alla correttezza informativa, chiediamo che teniate questa replica nella giusta considerazione e vi salutiamo cordialmente.
Cordiali saluti,
Fabrizio Passarini.
Foto di copertina: SIMA | Il position paper sulla correlazione tra smog e epidemia di Covid-19.
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