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Lo stop per il coronavirus ha riportato la natura in città. Adesso sta a noi trattenerla

19 Marzo 2020 - 22:15 Giulia Delogu
La natura si riappropria dei suoi spazi, ma se da un lato dobbiamo stare attenti a evitare l'effetto "rimbalzo" una volta finita la crisi, dall'altro dobbiamo prendere coscienza che cambiare è possibile, sia individualmente che collettivamente

Abbiamo visto tutti in questi giorni rimbalzare sui social le foto e i video dei fenicotteri e dei cigni a Milano, dei delfini a Cagliari, dei pesci che nuotano nelle limpide acque dei canali veneziani. Immagini suggestive che mostrano come potrebbero essere le nostre città se solo non fossimo così invasivi. «La natura si riappropria dei suoi spazi» è il commento più diffuso, ed è vero – ma quali sono i reali benefici di questa situazione per l’ambiente, e soprattutto quanto dureranno?

Il reale impatto di Covid-19 sull’ambiente

Il ritorno di animali selvatici in centri abitati di solito molto popolati, rumorosi ed inquinati è solo una delle conseguenze dello stop forzato imposto dall’emergenza Coronavirus. Dalle osservazioni satellitari realizzate nelle ultime settimane dall’Agenzia Spaziale Europea (ESA), emerge infatti come le emissioni di biossido di azoto (NO2) – uno dei principali gas inquinanti – siano notevolmente diminuite in particolare nell’Italia settentrionale

In altre parole grazie alla riduzione delle attività lavorative, alla chiusura di scuole e istituzioni, alla limitazione degli spostamenti e al conseguente forte calo dei trasporti, in una delle aree più inquinate del Paese la concentrazione di NO2 è calata del 10% da metà febbraio a oggi. Un dato che fa ben sperare, ma che va contestualizzato per capire quanto può davvero impattare sul riscaldamento globale.

Una volta finita l'emergenza, dovremo fare in modo di evitare l'effetto "rimbalzo" delle emissioni. E anche ricordarci che cambiare è possibile, sia individualmente che collettivamente
Le immagini del satellite Sentinel 5 condivise su Twitter da Santiago Gassò, ricercatore dell’Università di Washington e della Nasa

L’inquinamento dell’aria, infatti, non dipende solo dalle emissioni, ma anche da fattori meteorologici. L’improvvisa e continuata riduzione del traffico ha certamente un effetto sulla qualità dell’aria, ma bisogna tenere conto che i mesi di gennaio e febbraio – un po’ per via delle maggiori emissioni da riscaldamento, un po’ per le condizioni generali (velocità del vento, stabilità atmosferica, ecc.) mediamente più sfavorevoli – sono sempre caratterizzati da maggiori concentrazioni di NO2 e PM10, destinate a calare in primavera.

Insomma, poche settimane non bastano: se nell’immediato la riduzione del traffico e lo stop di molte attività hanno un (lieve) impatto positivo sull’ambiente, nel lungo periodo l’effetto è ancora così ridotto da risultare addirittura meno significativo di quello causato dall’aumento delle temperature per motivi stagionali. 

Cosa possiamo fare una volta passata la crisi

Cigni, fenicotteri, delfini e acque limpide sono dunque solo un miraggio? Affatto. Sono un monito e una presa di coscienza. Il primo è far sì che questi “effetti collaterali” non abbiano la durata di un post sui social: qualora l’emergenza coronavirus andasse avanti ancora per molto e con lei la riduzione delle emissioni, dovremo fare in modo di evitare il “rimbalzo” delle stesse una volta superata la crisi. La differenza la faranno le risposte che il mondo politico e finanziario metteranno sul tavolo per fronteggiare la crisi economica che si intravvede all’orizzonte.

La seconda è che modificare le nostre abitudini, anche in maniera improvvisa e radicale, è possibile – sia individualmente che collettivamente. Tutti speriamo che il coronavirus venga debellato il prima possibile, e quando avverrà ci porteremo a casa non solo un senso di sollievo, ma anche di consapevolezza che in caso di pericolo imminente siamo in grado di reagire, di adottare misure drastiche, di unire le forze per un intento comune. Come quello di arginare le conseguenze dei cambiamenti climatici.

Non si tratta di un’ipotesi astratta, ma di una possibilità concreta. L’introduzione forzata dello smart working, fino a poche settimane fa baluardo di modernità e privilegio di poche aziende “illuminate”, è un esempio perfetto: il lavoro agile non solo abbatte i costi per il datore di lavoro, ma riduce sensibilmente il traffico quotidiano. Perché abbandonarlo una volta terminata la crisi?

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