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Un mese di Covid-19: «Ne usciremo anche grazie a chi è guarito e non si ammala più» – L’intervista

19 Marzo 2020 - 08:24 Felice Florio
Maria Teresa Ventura, immunologo del policlinico di Bari e professoressa dell'università del capoluogo pugliese, intravede i primi riscontri di un'immunità di gregge

Domani, 20 marzo, sarà passato un mese dal primo caso di contagio da Coronavirus avvenuto in Italia, quello del cosiddetto “paziente 1” di Codogno. «Vedo un filo di speranza nell’evolversi dell’epidemia in Italia. Soprattutto nelle prime aree dove è stata istituita la zona rossa si registra un’importante regressione dell’epidemia». La professoressa Maria Teresa Ventura, immunologo del Policlinico di Bari, guarda con ottimismo ai dati raccolti durante questi 30 giorni di crisi.

Ventura, quando usciremo da questa situazione?

«È impossibile dirlo: tutto dipende dal comportamento dei cittadini. Certo è che, rispettando le norme, i contagi diminuiscono e il sistema sanitario potrà reggere. Il modello cinese che ha funzionato a Wuhan si è mostrato efficace anche nel Lodigiano».

Di quale modello parla?

«Si tratta di un contenimento dell’epidemia che segue una modalità multifattoriale. Da un lato ci sono i limiti agli spostamenti delle persone, che io definisco benedetti, dall’altro si iniziano a vedere gli effetti dell’immunità di gregge».

La stessa immunità di gregge che proponeva Boris Johnson nel Regno Unito?

«No, chiariamo: nessuno sta invitando i cittadini ad andare in giro a farsi contagiare per diventare immuni. Non è perseguibile l’idea di Johnson perché non sappiamo con certezza se questo virus dia immunità permanente oppure, con il tempo, possa infettare di nuovo le stesse persone. Ma si stanno riscontrando i primi benefici di una primordiale immunità di gregge in quelle zone che per prime sono state colpite dall’epidemia».

In cosa consiste l’immunità di gregge?

«Espressa in maniera semplice: le persone che superano la malattia sviluppano gli anticorpi e diventano delle barriere viventi che impediscono al virus di diffondersi».

Quindi con l’aumentare dei guariti diminuisce anche la contagiosità del virus?

«No, questo non è propriamente corretto. Di per sé, il Covid-19 è un virus molto contagioso. In questo momento è indispensabile contenerne la diffusione evitando il contatto tra le persone. I guariti costituiscono un aiuto nel contenimento generale che non può prescindere, tuttavia, dalle restrizioni dei decreti. Bisogna evitare di uscire di casa almeno finché non avremo sviluppato un vaccino: allora indurremo noi nella popolazione l’immunità di gregge».

Quanto manca al raggiungimento del picco epidemico?

«Ci sono vari studi a riguardo ma preferisco non parlare di stime perché ci sono variabili imprevedibili: ad esempio non sappiamo effettivamente quante persone asintomatiche arrivate al Sud dalle regioni del Nord possano aver trasportato il virus. Detto ciò, anche la formazione di un’immunità di gregge aiuta a ritardare il picco epidemico: ciò è essenziale per non gravare sulle strutture ospedaliere sotto stress durante questa emergenza».

Ce lo spiega in modo più semplice?

«Dovete pensare all’immunità di gregge come a un’equazione tra persone infette, persone che hanno superato l’infezione e persone diciamo vergini. Quando queste tre popolazioni raggiungeranno l’equilibrio, si otterrà la cosiddetta immunità di gregge e potremo dire superata la crisi. Ma bisogna ancora approfondire se l’individuo che guarisce dal coronavirus sviluppa effettivamente un’immunità permanente».

Perché sono gli anziani i soggetti più vulnerabili al Covid-19?

«In generale, la comorbidità – la presenza di più patologie diverse in uno stesso individuo, ndr. – rende le malattie respiratorie più severe. Con l’avanzare dell’età, tende ad aumentare il numero di patologie croniche. Lo rileviamo anche con il Covid-19. La spiegazione immunologica, restando nel campo delle ipotesi, riceverebbe conferma dal successo che stanno avendo i farmaci anti-interleuchina 6».

Il successo di una terapia è in grado di fornire ex post una spiegazione immunologica?

«Traccia una buona pista. Il motivo per cui il coronavirus incide così tanto in età geriatrica potrebbe essere legato a un meccanismo immunologico. Negli anziani c’è una forte elevazione dei livelli di interleuchina 6, ovvero una risposta immunitaria responsabile dello stato infiammatorio che sottende a tutte le malattie che si sviluppano in età geriatrica».

Come si spiega, invece, la maggiore incidenza di casi positivi nella popolazione maschile?

«L’incidenza maggiore di questa malattia nel sesso maschile, dal punto di vista immunologico, può essere spiegata in maniera semplice: le donne reagiscono meglio degli uomini sia alle malattie virali che a quelle batteriche».

Come mai?

«Ci sono cellule con un meccanismo di immunità innata nelle donne. Il sesso femminile ha migliori capacità nel sistema immunitario, ad esempio nella funzione della fagocitosi. È una questione prettamente ormonale. Però le donne pagano molto caro questo tipo di predisposizione: sono più soggette alle malattie autoimmuni, rare invece negli uomini».

Grafici di Vincenzo Monaco

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