Coronavirus, nel Regno Unito e in Spagna le linee guida per scegliere chi curare e chi no (come in Italia)
Chi decide chi vive e chi muore, quando i letti sono pochi e medici e infermieri ancora meno? Come lo si decide? Mentre i numeri dei contagi del Coronavirus sono in aumento in Italia e negli altri Paesi europei, il mondo che eravamo abituati a conoscere, occidentale e senza guerre, con un sistema sanitario universalistico come quello italiano a cui accedono tutti, deve fare i conti con l’inedito.
In gergo si chiama medicina delle catastrofi e l’intento è quello di fornire «la risposta sanitaria corretta quando le risorse sono insufficienti rispetto alle necessità dell’evento». Criteri – drammatici ma fondamentali – cui mai nessuno avrebbe pensato di ricorrere nel 2020 in Italia, come in Spagna o in Inghilterra. Si applicano agli incidenti aerei, a quelli ferroviari. Ai terremoti. Ora a una pandemia.
Regno Unito
Accade in Italia e accade in Inghilterra, dove – scrive The Independent – ai medici, in vista del rischio (reale) di essere sopraffatti dallo tsunami (annunciato) portato dall’epidemia di coronavirus verranno fornite nuove linee guida per aiutarli a decidere tra quali pazienti scegliere in caso di esaurimento dei letti di terapia intensiva o dei ventilatori. I criteri sono attesi per oggi e sono, sottolinea il quotidiano britannico, né più e né meno un’ammissione: quella della tempesta che sta per abbattersi anche sugli ospedali del Regno Unito. «Abbiamo dovuto muoverci molto rapidamente», spiega una fonte citata dal quotidiano britannico.
D’altro canto chiudono anche quelli che sono i luoghi simbolo della nazione appena uscita dall’Unione europea: i pub. Una situazione mai vista, per cui il Regno Unito e gli altri Paesi hanno solo la “fortuna” di arrivare con dieci-quindici giorni di ritardo rispetto a un’Italia suo malgrado apripista. Le linee guida, spiega l’Independent aiuteranno i medici ad affrontare gli effetti di un contagio che nel nostro Paese sta avendo conseguenze devastanti e che vede una vera e propria ecatombe di persone con un’età elevata (non solo loro, certo) e con almeno due o tre malattie pregresse: patologie respiratorie, cancro, malattie cardiache e diabete.
Le linee guida per «la gestione dei pazienti in terapia intensiva», oltre a quelli sottoposti a dialisi renale e trattamento del cancro, verranno pubblicate in Inghilterra dal National Institute for Health and Care Excellence (NICE). Verosimilmente arriveranno a breve criteri anche per i pazienti sottoposti a radioterapia e quelli con artrite reumatoide. E secondo The Independent, il Nice potrebbe anche elencare i criteri di «comorbidità» – il livello di malattia – che influenzeranno l’accesso a terapia intensiva e ventilatori. Ci sarà anche un limite di età esplicito? Ci saranno pazienti che si vedranno rimuovere il ventilatore cui sono attaccati per lasciare posto a qualcuno con più possibilità di sopravvivere?
Secondo quanto ricostruito dal quotidiano britannico, nel Paese ci sono appena 4mila ventilatori: da qui l’appello ai produttori. I letti in terapia intensiva poi sono 6,6 ogni 100mila persone: noi ne abbiamo il doppio. La Germania cinque volte di più. L’ammissione dell’arrivo dello tsunami rappresenta anche (di nuovo) la smentita delle parole di Boris Johnson di pochi giorni fa. Il primo ministro aveva infatti paventato la possibilità che i criteri di queste scelte tra la vita e la morte sarebbero stati lasciati in capo agli ospedali locali. Giacché, appunto, il dilemma etico non è inedito per i medici.
L’approccio, invece, sarà nazionale e le linee guida sono state messe insieme in poco più di una settimana. Si guarda a quello che sta accadendo in Italia e alle immagini delle terapie intensive e dai pronto soccorso della Lombardia. «Non fatevi trovare impreparati», è l’appello di Antonio Pesenti, coordinatore dell’unità di crisi della terapia intensiva lombarda.
Si guarda anche alle nostre linee guida, già elaborate dal Siaarti, la Società Italiana di Anestesia, Analgesia, Rianimazione e Terapia Intensiva per «gestire l’ammissione ai trattamenti intensivi, dopo che da parte dei soggetti coinvolti sono stati compiuti tutti gli sforzi possibili per aumentare la disponibilità di risorse erogabili». Un documento in cui «si privilegia la “maggior speranza di vita”: questo comporta di non dover necessariamente seguire un criterio di accesso alle cure intensive di tipo “first come, first served”».
In Spagna
Linee guida di questo tenore sono già arrivate in un altro paese fortemente colpito dalla pandemia: la Spagna. Dove – riporta l’Agi – sono già arrivate, ne dà conto El Mundo, le raccomandazioni del gruppo di lavoro di bioetica della Società spagnola di medicina Intensiva, Critica e Unità Coronarie (Semicyuc) con l’aiuto della Società spagnola di medicina interna (Semi).
Le persone con le migliori possibilità di sopravvivenza devono avere la priorità per il ricovero in terapia intensiva, dicono, ancora una volta e drammaticamente le linee guida. «Ammettere un ingresso può significare negarne uno a un’altra persona che potrebbe beneficiarne di più, quindi è necessario evitare il criterio dell’accesso in base agli arrivi». I principi sono generali. Le catastrofi non hanno confini, né guardano a nazionalità o colore della pelle.
«Massimizzare il beneficio comune»: anche in Spagna viene messo nero su bianco questo principio della medicina internazionale. «E nei pazienti critici con patologie critiche diverse dal Covid-19, dovrebbe essere data priorità a che ne beneficia maggiormente».
Alla terapia intensiva non vengono quindi ammesse «persone nelle quali è previsto un beneficio minimo (come situazioni di insufficienza multiorgano, rischio di morte calcolato da scale di gravità elevata o condizioni di fragilità avanzata)». E bisogna «valutare attentamente il beneficio dell’ammissione di pazienti con un’aspettativa di vita inferiore a due anni». Tra due pazienti con analogo quadro clinico «la persona con gli anni di vita più adeguati alla qualità dovrebbe essere prioritaria». E in caso di anziani, bisogna anche considerare il fattore «sopravvivenza libera da disabilità».
In copertina EPA/Will Oliver | Una tv in un pub mostra una conferenza stampa del primo ministro Boris Johnson a Central London, 20 marzo 2020.
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