Coronavirus, ecco il decreto che chiude l’Italia. L’elenco di tutte le attività produttive che restano aperte da domani
Ecco il nuovo decreto del Presidente del Consiglio con cui vengono predisposte ulteriori misure restrittive per arginare il contagio da Coronavirus, anticipate dal messaggio del presidente del Consiglio Giuseppe Conte nella serata di ieri 21 marzo e valide fino al 3 aprile 2020. La sospensione, inizialmente prevista da domani 23 marzo, è valida dal 25 marzo.
Stop a fabbriche e cantieri
Il Dpcm sospende le attività produttive industriali e commerciali, ma non le attività professionali. Gli uffici pubblici e privati infatti restano aperti ma il provvedimento invita a agevolare in ogni modo il lavoro agile i congedi. Tutte le attività sospese, invece, possono continuare solo in modalità smart working. Inoltre, il prefetto ha il potere di sospendere tutte quelle attività non ritenute indispensabili e strategiche. Aperti anche studi legali, notai e commercialisti, così come aperte restano le case di riposo e di assistenza e le fabbriche che lavorano alla produzione di casse funebri.
Stop ai cantieri edili, restano aperti solo quelli legati alle opere pubbliche di manutenzione ferroviaria e stradale e ad altre opere particolari, legate al comparto infrastrutture. Si decreta, quindi, la sospensione dei cantieri legati alla costruzione o alla ristrutturazione delle abitazioni. A non essere sospesi sono tutti cantieri connessi al codice Ateco “ingegneria civile”, incluso nella lista delle attività che resteranno garantite.
I sindacati pronti allo sciopero
I sindacati fanno sapere di essere pronti allo sciopero generale se troppe fabbriche restano aperte. «A difesa della salute dei lavoratori e di tutti i
cittadini, Cgil, Cisl e Uil, sono pronte a proclamare in tutte le categorie d’impresa che non svolgono attività essenziali lo stato di mobilitazione e la conseguente richiesta del ricorso alla cassa integrazione, fino ad arrivare allo sciopero generale», dicono i segretari generali di Cgil, Cisl e Uil, Maurizio Landini, Annamaria Furlan e Carmelo Barbagallo.
March 22, 2020
«Riteniamo inadeguato il contenuto del decreto e inaccettabile il metodo a cui si è giunti alla sua definizione», si legge in una nota congiunta diffusa in serata. «È quanto affermano in un comunicato unitario Cgil, Cisl e Uil evidenziando che i sindacati “in questa fase difficile del Paese, hanno rappresentato sempre la necessità di mettere al primo posto la salute e la sicurezza dei lavoratori e delle lavoratrici» e con il protocollo ha sollecitato «il Governo a sospendere tutte le attività non essenziali rispondendo così
alla necessità di contenimento del contagio».
«Nei giorni scorsi Cgil, Cisl, Uil hanno sollecitato un incontro urgente al presidente del Consiglio per verificare gli effetti applicativi del “Protocollo condiviso di regolazione delle misure per il contrasto e il contenimento della diffusione del virus Codid-19 negli ambienti di lavoro” e per chiedere misure più rigorose di sospensione delle attività non essenziali alla luce della consistente progressione dei contagi».
Nell’incontro in video conferenza, tenutosi nel tardo pomeriggio di ieri, spiegano i sindacati «è stato proposto dal Governo un primo schema di attività da considerare non essenziali sulla base dei codici Ateco. Unitariamente abbiamo continuato a sostenere la necessità di un intervento urgente che sospendesse tutte le attività lavorative non indispensabili».
Il Dpcm e lo schema allegato firmato oggi «non tiene conto se non in modo molto parziale delle istanze e delle necessità che abbiamo posto all’attenzione dell’Esecutivo, prevedendo una serie molto consistente di attività industriali e commerciali aggiuntive rispetto allo schema iniziale presentato dal Governo, per gran parte delle quali riteniamo non sussistere
la caratteristica di attività indispensabile o essenziale».
Cgil Cisl e Uil «in questa fase difficile del Paese, hanno rappresentato sempre la necessità di mettere al primo posto, rispetto a qualunque altra valutazione, la salute e la sicurezza dei lavoratori e delle lavoratrici: per queste ragioni abbiamo sottoscritto il Protocollo condiviso del 14 marzo scorso e sempre per le stesse ragioni abbiamo sollecitato il Governo a sospendere tutte le attività non essenziali rispondendo così alla necessità di contenimento del contagio. Ecco perché riteniamo inadeguato rispetto a questo obiettivo il contenuto del decreto e inaccettabile il metodo a cui si è giunti alla sua definizione».
Ecco il testo del Dpcm:
Lista delle attività che restano aperte:
La lettera di Confindustria
Una lettera è arrivata nel frattempo in queste ore sul tavolo del presidente del Consiglio. Porta la firma di Vincenzo Boccia, presidente di Confindustria, e chiede al governo più tempo (i «tempi tecnici» per lo shut down del sistema produttivo), definizioni più precise (e «snelle») sulle attività che possono e non possono continuare la loro produzione, nonché i «necessari provvedimenti» per intervenire su credito e liquidità delle aziende, e «relativi all’operatività della Borsa e del mercato finanziario per evitare impatti negativi sulle nostre società quotate».
Il fatto è che ieri sera lo schema del nuovo dpcm, e il relativo allegato con la lista delle attività, era già pronto a palazzo Chigi. Ma dopo le comunicazioni del premier su Facebook (Chigi ne difende la modalità dalle critiche che pure sono piovute con una nota ufficiale di oggi) sarebbero arrivate «numerosissime richieste da aziende, anche quelle di una certa rilevanza per il sistema italia, che adducevano varie motivazioni per giustificare la necessità di proseguire nelle proprie attività e invocavano comunque il carattere essenziale delle stesse, la rilevanza strategica ai fini dell’economia nazionale, lo scopo comunque connesso e accessorio rispetto alle attività consentite in via principale, la funzione strumentale alla risposta sanitaria in corso». Le richieste della lettera di cui sopra di Boccia.
Per tutta la notte e per tutta la mattinata di oggi al Ministero dello sviluppo economico sarebbero quindi «stati severamente impegnati a vagliare tutte le richieste». Questo spiegherebbe perché il Dpcm e l’allegato, con l’elenco definitivo delle attività produttive giudicate essenziali in questa fase di emergenza, arrivano alla fine solo nel tardo pomeriggio di domenica.
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