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Coronavirus: in Etiopia, Sudafrica e Kenya in aumento le aggressioni a cinesi ed europei

22 Marzo 2020 - 06:31 Angela Gennaro
Episodi sono stati registrati ad Addis Abeba, Nairobi, Johannesburg. E qualcuno dice sui social: il virus è "una restituzione" per quel nord ricco del mondo, che «ora paga colonialismo e razzismo»

Il mondo alla rovescia restituito alle cronache dal Coronavirus non è poi così tanto capovolto. Racconta quanto alcune paure, come quella del diverso e dell’ignoto, siano ancestrali. E come quanto sia facile, per gli esseri umani, reagire con chiusura e aggressività quando si è feriti. Racconta anche – ancora una volta – come in qualsiasi angolo del globo l’antidoto resti (dopo, naturalmente, il vaccino che sconfiggerà il Covid-19, che tutti stanno cercando e che potrebbe non essere disponibile per tutti prima di anni) uno e uno solo: la conoscenza.

Nel continente africano i numeri del contagio stanno salendo – ieri il primo caso nello Zimbabwe, ad allungare la lista dei paesi dove il virus è arrivato, tra fragili sistemi sanitari, epidemie già in corso come quella dell’Hiv e quella di Ebola. Temo sia «una bomba ad orologeria», dice con efficace metafora Bruce Bassett, data scientist dell’Università di Città del Capo, alla rivista Science. Insieme al contagio cresce il razzismo. Non è (ancora) tensione sociale, non lo diventerà. Ma fa notizia perché, in maniera inedita, prende di mira i bianchi, i privilegiati e i ricchi. In un continente dove si stanno sollevando e risollevando barriere, muri e confini tra paesi confinanti e con il resto del mondo.

Etiopia

In Etiopia – dove fino a questo momento risultano 9 casi confermati di contagio – chiudono bar e locali, mentre la compagnia Ethiopian Airlines sospende tutti i voli da e verso 30 paesi. Il primo ministro Abiy Ahmed ha annunciato che tutti i passeggeri in arrivo in Etiopia dai paesi colpiti dalla pandemia saranno messi in quarantena per 14 giorni.

Come riporta un articolo del The Globe and Mail, l’Etiopia è anche il paese da cui stanno arrivando molteplici segnalazioni di attacchi agli stranieri, causati da quella che si potrebbe definire la caccia all’untore. Tanto che l’ambasciata degli Stati Uniti nel paese ha diffuso una nota ufficiale, descrivendo un «aumento del sentimento anti-straniero» e una serie di episodi di molestie e aggressioni di stranieri in Etiopia, direttamente collegati al COVID-19. Tanto da consigliare ad americani e a stranieri in generale di evitare di uscire da soli.

«I report indicano che gli stranieri sono stati attaccati con pietre, hanno negato i servizi di trasporto (taxi, ecc.), sono stati sputati, inseguiti a piedi e accusati di essere stati infettati dal Covid-19», afferma la dichiarazione dell’ambasciata degli Stati Uniti.

Secondo la stampa locale, gli stranieri – ferengi, in lingua amarica – verrebbero chiamati «corona». Una sorta di gogna social sarebbe anche in corso con la pubblicazione di foto di persone straniere sui social, indicate come collegate al virus. Verrebbero presi di mira anche i giornalisti stranieri, a detta dell’Associazione dei corrispondenti stranieri dell’Etiopia: «voci pericolose» e «post viziosi» vengono diffusi su Internet sui giornalisti stranieri, mentre altri stranieri sono stati attaccati fisicamente.

Secondo un articolo de La Stampa, i primi episodi ad Addis Abeba risalgono alla pubblicazione, su Facebook, della notizia – falsa – della positività al virus del corrispondente del settimanale economico britannico The Economist, Tom Gardner. Da allora un professore sarebbe stato aggredito a colpi di pietre, mentre un ragazzo ha dovuto abbandonare un coworking per le minacce.

Il più grande nemico non è il virus stesso, ma «paure, voci e stigmatizzazione», diceva all’inizio della pandemia il  direttore generale dell’Organizzazione mondiale della Sanità (Oms) Tedros Adhanom Ghebreyesus, etiope. Abiy Ahmed, premio Nobel per la pace, con una nota riportata da Africa Rivista, si è rivolto al suo popolo per chiarire che il virus «non deve essere associato a un Paese o a una nazionalità»: «In una comunità globale, ciascuno di noi deve essere il custode dell’altro. Non permettiamo alla paura di derubarci della nostra umanità».

Kenya

AfricaRivista cita poi la notizia riportata dal quotidiano The Nation: in Kenya, nel villaggio di Kibundani, nella contea di Kwale, sarebbe stato barbaramente ucciso – da dei giovani aggressori – un uomo sospettato di essere positivo al coronavirus.

A inizio mese sui social ha cominciato a circolare un video citato dalla Bbc in cui un uomo e una donna asiatici venivano circondati da una folla minacciosa a Nairobi al grido di «Sei coronavirus, sei coronavirus». «Non abbiamo corona, non abbiamo corona», rispondevano loro.

Sulla Bbc il giornalista keniota Waihiga Mwaura – che su Twitter ricorda spesso che d’altro canto è il presidente degli Stati Uniti Donald Trump a chiamare questo il “virus cinese” – ha fatto contare come tutti i casi iniziali del virus nell’Africa subsahariana sono stati collegati ai viaggi europei piuttosto che alla Cina. Eppure, almeno inizialmente, non esiste un sentimento antieuropeo equivalente. Il pregiudizio è stato alimentato dalla relazione economica intrecciata tra Cina e Kenya.

Sudafrica

Scrive ancora The Globe and The Mail che episodi preoccupanti non mancano neppure in Sudafrica, dove ci sono per il momento circa 200 casi confermati di contagio. A Johannesburg un autobus carico di turisti, bianchi ed europei, è stato accolto al grido di «corona, corona» da parte dei residenti locali. «Sono i bianchi ricchi a portare il virus», si legge sui social. Parole che echeggiano meccanismi noti, per una volta rovesciati.

L’Economic Freedom Fighters, il terzo più grande partito politico del paese, chiede il divieto di tutti i viaggi verso il paese da «paesi con infezione da coronavirus, in particolare l’Europa». E chiede che i positivi vengano messi in quarantena a Robben Island, l’isola dove è stato imprigionato il leader anti-apartheid Nelson Mandela.

Il Covid-19, si dice nel Paese secondo quanto racconta lo scrittore Eusebius McKaiser, «non è grave in Sudafrica, ma è principalmente un virus che colpisce gli europei bianchi e la Cina». Non solo: il retropensiero sarebbe che il virus altro non è che il “prezzo di ritorno” per quel nord ricco del mondo, che ora paga «le storie di colonialismo e razzismo».

In copertina EPA/Stian Lysberg Solum | Il primo ministro etiope Abiy Ahmed Ali a Oslo, Norvegia, 10 dicembre 2019.

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