Coronavirus, il fronte dei supermercati a Milano: «Paura? Siamo terrorizzati. Vedo colleghi piangere tutti i giorni» – Le testimonianze dei commessi
Neanche il nuovo Dpcm chiuderà i supermercati che, quindi, insieme ad altre attività essenziali come le farmacie, rimarranno aperti. Non potrebbe essere altrimenti: in assenza di un sistema di consegna a domicilio gratuito e diffuso su tutto il territorio, andare al supermercato resta l’unico modo per procurarsi del cibo. Oggi più che mai, però, nel focolaio dell’epidemia di Coronavirus in Lombardia e a Milano, è a rischio la salute dei commessi e dei lavoratori, che ogni giorno mandano avanti la grande distribuzione e che, come i medici, le infermiere e le forze dell’ordine, sono esposti quotidianamente al rischio del contagio.
Sanificazione e mascherine: i “buchi” nella linea di difesa
Si tratta di un rischio concreto, considerando i buchi che lamentano i sindacati di categoria nel sistema delle precauzioni messe in campo dalle aziende. In un contesto, va detto, in cui è difficile reperire materiale sanitario anche per gli ospedali. «La paura inizia subito quando entro nel mio posto di lavoro, salendo negli spogliatoi dove dobbiamo cambiarci in uno spazio ristrettissimo. Mantenere le distanze diventa difficile», racconta Luisella, 49 anni, cassiera in un grande supermercato nel centro di Milano. «Non vedo sanificazione: mentre nel supermercato c’è più attenzione, negli spogliatoi no».
Insieme alle sue colleghe Luisella si misura la temperatura prima e dopo ogni turno e adotta tutte le misure di sicurezza, nei limiti del possibile. Alla richiesta di far sanificare bene anche gli spogliatoi, per il momento non è arrivata una risposta da parte dell’azienda, che però ha fornito ai suoi dipendenti le protezioni individuali: guanti, disinfettanti, il plexiglas per le cassiere e le mascherine. Ma anche in questo caso la barriera protettiva è “bucata”.
«Di mascherine ce ne hanno date una a testa, dicendo che sono lavabili, ma non ne sono certa. A furia di lavarla sembra che perda la propria funzionalità» continua Luisella. Nel suo caso si tratta di un mascherina Medimask, in cotone al 100%, riutilizzabile fino a 5 anni (agli addetti alla vendita di alimentari è consigliato usare le maschere senza filtro). Anche Claudio, commesso in un altro supermercato nel centro di Milano e Giuseppe, dipendente di un grande supermarket nella zona di Linate, confermano la versione di Luisella. Le mascherine sono poche, circa una a testa, vengono date a chi ne ha più bisogno e ai dipendenti viene detto di riutilizzarle. Anche nel loro caso la sanificazione lascia a desiderare. «Nella sanificazione è stata aumentata la procedura nei bagni e negli spogliatoi – racconta Giuseppe.- Ma viene fatta dagli addetti alla pulizia, non si tratta di una vera e propria sanificazione».
L’appello ai clienti: «Cambiate abitudini»
La paura è anche questo: non sapere, e non avere gli strumenti per poterlo accertare, in un contesto in continua evoluzione e senza precedenti. Non sapere se le mascherine sono sufficienti, se la sanificazione sia stata fatta bene. «Non è che abbiamo paura, siamo terrorizzati. Quando si ha paura è per qualcosa che si conosce. Noi non siamo abituati a lavorare sette ore con la mascherina, non sappiamo a cosa andiamo incontro, non siamo medici non sappiamo riconoscere i sintomi», si sfoga Giuseppe.
A questi dubbi si aggiungono preoccupazioni che si mischiano a sospetti sullo stato di salute dei colleghi: «Il numero di personale in malattia è salito esponenzialmente: nel supermercato dove lavoro abbiamo il 20 percento di personale in meno, mancano 20 persone su un totale di circa 90. Stanno male? O hanno paura? Non passa un giorno che non vedo un collega piangere o colleghi che vogliono scappare perché vedono code interminabili, o colleghi a cui vengono le palpitazioni ad indossare le mascherine tutte quelle ore».
Il dramma dei commessi è anche questo: da una parte la riduzione del personale tra malattie e congedi di paternità o maternità ha limitato le risorse, dall’altra la domanda crescente e nevrotica, come testimoniano le file fuori dai supermercati, porta a una situazione di stress, di ritmi serrati, di mancati riposi. Per questo appoggiano la riduzione dell’orario di apertura introdotto da alcuni gruppi, come Conad e Esselunga. Ma il problema è anche un altro: l’atteggiamento dei clienti.
«Ci sono famiglie intere che vengono a far la spesa perché la prendono come momento di svago. La legge dice altrimenti, ma evidentemente non è ancora chiaro…», si lamenta Luisella. Altro guaio riguarda le difficoltà nel far rispettare la distanza di sicurezza ai clienti dentro i supermercati e non solo nelle code disciplinate fuori dall’ingresso, spiega Claudio.
Le risse in coda
Non che siano sempre disciplinate le code: Giuseppe racconta di risse scoppiate tra i clienti per aver saltato il posto in coda, clienti che mettono le mani addosso alle guardie per cercare di entrare («Chiamiamo la polizia quasi tutti i giorni», aggiunge): momenti di crisi che erano particolarmente acuti nei primi giorni della zona rossa, quando i supermercati non erano ancora pronti, ma che si ripresentano con ogni nuovo Dpcm.
«Adesso lavoriamo in sicurezza perché facciamo entrare poche persone. Anche qui la situazione non è chiara, c’è un protocollo sulla sicurezza ma è difficile farlo rispettare in un supermercato. La distanza di sicurezza se il negozio è contingentato la rispettiamo, ma i clienti comunque vengono da me», continua Giuseppe. «Basta che i clienti cambino gli abitudini: evitando di venire a fare la spesa due volte al giorno ma una volta ogni tanto. Così ci daremo tutti una mano»
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