Coronavirus, imprenditore italiano: «Da Hanoi potrei inviarvi quattro milioni di mascherine, ma è quasi impossibile. Ecco perché»
Matin è italiano, è direttore di DFP, una società di logistica che opera in Vietnam, e da settimane sta cercando di capire come aiutare il suo Paese, l’Italia – quello che ama, dove ha lasciato la sua famiglia – messo in ginocchio dall’emergenza sanitaria del Coronavirus. Si è sempre chiesto, ad esempio, come fosse possibile che sul territorio nazionale si registrasse una carenza di mascherine al punto da risultare introvabili. Farmacie che le rivendono a 60 euro, siti internet che le offrono a prezzi improponibili, sequestri della Guardia di Finanza e continui gridi d’allarme da parte del personale sanitario che rischia di combattere una “guerra” senza protezioni sicure.
«Sembra assurdo ma è quasi impossibile aiutare l’Italia perché lo Stato non ci viene incontro, poca flessibilità e troppa burocrazia. Basti pensare al bollino CE: se non c’è, può essere un problema alla Dogana (anche se con il decreto del 17 marzo è stata prevista una deroga, si continuano a registrare sequestri di mascherine senza marchio CE, ndr), insomma sembra che non si consideri che siamo in emergenza. Un po’ come dire che se un beduino, nel deserto, ti salva la vita con un bicchiere d’acqua, tu dici “no, solo di marca, grazie”».
35mila mascherine da spedire in Italia
Da qui l’idea di provare a spedire in Italia, dalla Cina, 35mila mascherine, alcune chirurgiche, altre Ffp2, per «vedere se vengono bloccate alla Dogana». L’obiettivo è quello di venderne una parte alle strutture ospedaliere private e, con il ricavato di queste, comprarne altre decine di migliaia da donare a chi ne ha bisogno, ospedali pubblici in primo luogo: «Di queste 35mila, intanto, 10mila vorremo donarle qualora non rimanessero bloccate all’aeroporto di Malpensa».
«Più flessibilità»
La richiesta allo Stato italiano è quella di essere «più flessibile, di non bloccare un carico per una dichiarazione doganale non perfetta o per altri motivi burocratici» considerando anche che «siamo in emergenza» e che «con la diminuzione di aerei civili, è già difficile spedire celermente merci in Italia».
«Se lo Stato italiano volesse, io che ho una piccola società di logistica potrei spedirne fino a 4 milioni al mese. Resto allibito, quindi, dalla gestione che c’è stata fino ad oggi, forse si è sottovaluto il problema. Prima ci dicevano di “non fare allarmismo”, i politici andavano a bere lo “spritz” anti coronavirus e continuavano a ripeterci che “non serviva indossare le mascherine”. Ora, invece, mi chiedo: la mancanza di mascherine in Italia ha contribuito sì o no al contagio? Se ci fossero stati i dispositivi di protezione individuale per tutti avremmo avuto lo stesso numero di persone infettate?».
Foto in copertina di repertorio: Massimo Percossi per Ansa
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