Coronavirus, dai call center ai cantieri, tutte le attività che il governo non ha chiuso e che fanno discutere
Da quando il testo dell’ultimo Dpcm firmato dal premier Giuseppe Conte è stato reso pubblico, sindacati e lavoratori hanno alzato la testa per protestare contro le decisioni del governo in merito alla gestione della pandemia da Coronavirus. Le attività produttive considerate essenziali dal decreto sono un centinaio: più del doppio di quello concordato in videoconferenza con le rappresentanze nei giorni precedenti.
Secondo il ministro dello Sviluppo Economico Stefano Patuanelli, il governo è giunto ad «una sintesi soddisfacente», trovando una quadra tra le richieste di Confindustria e le rivendicazioni dei sindacati. Nessuna delle due parti, però, sembra essere d’accordo: se da un lato esplodono le prime contestazioni e i primi scioperi mirati a far chiudere un numero maggiore di attività, dall’altro Vincenzo Boccia, presidente di Confindustria, ha parlato di un decreto che «ci fa entrare in un’economia di guerra, con il 70% del tessuto produttivo in fermo».
Cosa significa «essenziale»?
La questione, insomma, sembra girare attorno a quella che è ormai una domanda chiave: che cos’è un’attività essenziale? Secondo il Dpcm, quelle che possono essere definite così sono circa 100. Alcune di queste mantengono una dimensione ambigua che permette a entrambe le parti di andare avanti con la loro partita: sono definite essenziali le attività degli studi professionali (come quelli legali, notarili, d’ingegneria e d’architettura), che possono rimanere aperti ma «preferibilmente» in smart working. Sono necessarie le industrie alimentari per garantire l’approvvigionamento dei cittadini, ma in alcuni ambiti – come quelli del food delivery e del raccolto – non sembrano essere garantite le giuste misure di sicurezza e protezione.
Sono definiti necessari i call center, le industrie dell’aerospaziale, della chimica, della plastica, della gomma e della difesa (cioè delle armi). Secondo i sindacati e i lavoratori, buona parte di queste produzioni non sono «essenziali abbastanza» da far rischiare il contagio agli operai, che nelle fabbriche faticano a veder rispettati i criteri di sicurezza personale.
Ci sono poi i cantieri: come indicato nell’allegato del decreto, possono continuare tutti quelli impegnati nella costruzione di strade, ferrovie, linee metropolitane, ponti e gallerie. Ok a quelli legati alla realizzazione di opere di pubblica utilità per il trasporto di fluidi, per l’energia elettrica e le telecomunicazioni e alla costruzione di opere idrauliche, e a tutti quelli definiti idonei dal Prefetto provinciale. Eppure, molti sono costretti a chiudere perché è «impossibile garantire le misure di sicurezza adeguate in alcuni siti», come aveva raccontato il presidente dell’Ance Gabriele Buia.
Gli operatori dei call center: «Non tutto quello che facciamo è essenziale»
Quello dei call center è uno degli ambiti più discussi, visto che la definizione stessa di “attività dei call center” è piuttosto vaga e generica. Un dipendente dell’AlmaViva – che per ovvie ragioni di tutele vuole rimanere anonimo – ha raccontato che molte delle attività ancora in corso non rappresentano un servizio «essenziale». A Milano, Almaviva lavora con Sky e Fastweb, Trenitalia, Siemens, Wind e Tre.
La sede di Milano è attualmente chiusa per decisione dell’azienda, date le difficoltà nel mantenere le distanze di sicurezza. Secondo la testimonianza del dipendente, anche l’adeguamento al telelavoro procede a rilento e in maniera scorretta. «Chi tra noi può al momento sta usando i propri dispositivi a casa», spiega. «Ma, nonostante la regolamentazione sul telelavoro parli chiaro, l’azienda non ci ha fornito gli strumenti necessari per lavorare da casa. In questo modo, in attesa dei dovuti ammortizzatori sociali, molti di noi sono stati messi in ferie obbligate».
Le fabbriche della metalmeccanica e della chimica devono rimanere aperte?
I primi scioperi sono partiti da qui. I lavoratori delle aziende metalmeccaniche e chimiche della Lombardia si fermeranno mercoledì 25 marzo per 8 ore, perché, come ha detto Marco Bentivogli, «è necessario che si consideri la Lombardia una regione dove servono misure più restrittive sulle attività da lasciare aperte».
Anche nel settore dell’industria aerospaziale arrivano i primi stop: i lavoratori dipendenti di aziende come Leonardo, Ge Avio, Fata Logistic System, Lgs, Vitrociset, MBDA, DEMA, CAM e DSono stanno già incrociando le braccia contro le decisioni del governo e affinché vengano messe in campo immediatamente le condizioni di sicurezza definite nel Protocollo condiviso del 14 marzo 2020. Il regolamento è stato sottoscritto dalle organizzazioni sindacali e datoriali su invito dei vari Ministeri, e comprende tanto la garanzia del rispetto delle regole sanitarie anti-Covid-19, quanto l’eventuale chiusura di reparti produttivi non indispensabili.
L’industria del cibo è «essenziale» ma complessa
Nessuno si sognerebbe mai di dire che la produzione alimentare non rientra nelle attività essenziali. Per il governo non dovranno fermarsi le coltivazioni agricole, le industrie alimentari, quelle delle bevande, il loro commercio all’ingrosso. Ma che dire delle condizioni di lavoro di rider e braccianti agricoli?
Deliverance, l’organizzazione spontanea dei rider di Milano, ha denunciato più volte la scarsa attenzione delle grandi aziende alle condizioni di messa a lavoro dei ciclofattorini. Al grido di «il delivery food non è un servizio essenziale e sushi e patatine non sono un diritto», hanno spiegato che il gioco non vale la candela: con il 90% dei ristoranti chiusi, i rider rischiano la loro salute per un incasso irrisorio.
Parallelamente, i lavoratori della terra sono lasciati a loro stessi nelle tendopoli e nei campi. «Nelle comunità e nelle tendopoli dei braccianti è impossibile adottare le misure di sicurezza necessarie», dice il sindacalista dell’Usb Aboubakar Soumahoro. «E nei campi si lavora senza dispositivi di sicurezza personale adeguati».
Studi professionali
Il Decreto presidenziale prevede anche che restino aperti gli studi legali, dei notai e dei commercialisti, nonché quelli di architettura, di ingegneria, di collaudi e di analisi tecniche. C’è chi grida al conflitto di interessi di Conte – ex avvocato – , ma, a parte ciò, a far discutere è la semplice «raccomandazione di utilizzare la modalità di lavoro agile», e il suggerimento di sospendere le attività non indispensabili.
«In effetti, domani potrò recarmi nel mio studio, attraversando un paese semideserto, mi porterò dietro la preziosa autocertificazione così se mi dovessero fermare i Carabinieri potrò rispondere orgogliosa che sto andando a svolgere una attività essenziale!!», ha scritto su Facebook la vice presidente del Movimento Forense di Crotone, l’avvocata Teresa Paladini. Tutte le attività collaterali sono sospese (come le udienze non essenziali e le cancellerie che funzionano via pec). «Quindi resto imbambolata davanti al pc acceso e comincio a chiedermi: che ci faccio qui?».
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