Coronavirus, il costituzionalista Ceccanti: «Serve la clausola di supremazia: in emergenza è giusto rivedere le competenze regionali» – L’intervista
Centro-periferia. Stato-Regioni. Ordinanza, decreto, ordinanza: quella della lotta contro l’emergenza Coronavirus è anche la storia del susseguirsi di decreti governativi e di ordinanze regionali. «Esistono dei dubbi su quale delle due debba prevalere: se l’ordinanza della Regione o il decreto del governo», esordisce oggi in conferenza stampa il presidente della Regione Lombardia Attilio Fontana. Il governatore fa sapere di avere scritto alla ministra Luciana Lamorgese affinché esprima il suo parere, perché «nonostante i nostri giuristi ci dicano che prevale la nostra ordinanza, in una situazione come questa non deve crearsi alcun tipo di conflitto».
Per Stefano Ceccanti, costituzionalista e oggi deputato del Pd, una risposta (da applicare dalla prossima volta) c’è: è la «clausola di supremazia». Il deputato ha depositato nel tempo una serie di proposte di legge (costituzionale): l’ultima a inizio marzo, il 2422 – (qui il testo). «In tutti gli stati regionali e federali ci sono i due elenchi di materie di competenze: cosa fa lo Stato e cosa le Regioni», spiega a Open. «Ma si consente al governo di attivare il parlamento nazionale per una legge che renda flessibile la ripartizione delle competenze in casi particolari per far valere l’interesse nazionale. In un periodo di emergenza, è giusto rivedere le competenze regionali».
Professore, in un momento di emergenza come quello che stiamo vivendo?
«Assolutamente. Si tenta una leale collaborazione, si tenta di mettersi d’accordo. Ma se poi alla fine la regione non è d’accordo su un tipo di intervento, anche sulle materie di sua competenza deve cedere: in circostanze del genere la voce deve essere unica».
Il federalismo sanitario non sta funzinando?
«Non è che tutto debba essere centralizzato a priori. Nè la centralizzazione è garanzia di rendimenti uguali: per esempio abbiamo un sistema scolastico centralizzato che ha degli standard molto diversi da regione a regione. Questa non è una battaglia ideologica. Il punto è che il sistema è troppo rigido, perché se non prevede chiaramente che in alcune circostanze possa prevalere lo Stato centrale, si possono realizzare indirizzi difformi. E questo non ce lo possiamo permettere, in una situazione di emergenza».
Come si stanno manifestando questi indirizzi difformi oggi?
«C’è l’esigenza di rendere flessibile la ripartizione delle competenze. La questione del Titolo V della Costituzione riguarda un po’ tutte le competenze, sia esclusive regionali che concorrenti. Va affrontano: perché altrimenti oggi c’è un’opera ‘defatigante’ del ministro degli Affari Regionali (Francesco Boccia, ndr) che cerca di mettere d’accordo tutti intorno allo stesso tavolo. A volte bisogna anche un po’ forzare. In molte delle ordinanze che si sono susseguite da quando è cominciata l’emergenza c’è stata un po’ una rincorsa tra Stato e Regioni. E restiamo ancora in dubbio su quale sia vigente e quale no, al di là della stretta materia della sanità».
Come nel caso dell’ultima ordinanza della Regione Lombardia e dell’ultimo decreto del premier Conte sulla stretta alle attività produttive?
«Ecco, lì abbiamo dei dubbi».
E come si sciolgono?
«Secondo me, anche sulla base del sesto dpcm, non è impedito, alle regioni che manifestino la situazione peggiore, avere norme più rigide. Non è detto che il dpcm debba valere per tutto il territorio: può anche essere legittimo che Fontana adotti un provvedimento più restrittivo per la Lombardia, per esempio. L’importante è che si sia d’accordo. Non ho ancora ben capito se sono d’accordo o no».
Non l’hanno capito nemmeno i cittadini. Nè le aziende lombarde, per esempio.
«Penso che lo siano, ma finché non lo dicono non è chiaro. La regia deve essere unica».
Cosa pensa dell’operato del governo? Di Facebook Live notturni, decreti annunciati e poi posticipati. Di un lockdown fatto passo dopo passo, secondo alcuni critici troppo lento, mentre il contagio fatica ad arrestarsi.
«Non vorrei essere al posto di chi è oggi al governo. Nessuno di noi lo vorrebbe. Avranno anche fatto degli errori, ma non credo che chi li bombarda per quegli errori sarebbe stato in grado di fare meglio. Detto con franchezza».
Matteo Salvini dice che il parlamento è chiuso.
«Non è vero. Il parlamento sta lavorando. I singoli parlamentari stanno lavorando – e molto – da casa. Siamo per esempio alle prese con i connazionali che vogliono tornare dall’estero: incontrano difficoltà e mettiamo in contatto con il ministero degli Esteri. O abbiamo, in contesti locali particolari, problemi di interpretazione delle norme, per cui facciamo da ponte con le prefetture. I gruppi parlamentari stanno funzionando, stiamo facendo riunioni in videoconferenza. Le commissioni in questo momento possono solo convertire decreti o chiamare a riferire il presidente del Consiglio: si stanno attrezzando per farlo. È ingenerosa l’immagine che il parlamento non faccia nulla. Se vogliamo fare di più dobbiamo mettere Camera e Senato in condizioni di operare con regole di emergenza. Non possiamo pensare a votare in aula con le consuete modalità: ci sono parlamentari che rischiano di non riuscire ad arrivare per questioni di logistica e trasporti. La malattia può aver inciso su alcuni gruppi più che su altri, di maggioranza e minoranza. La logica vorrebbe che ammettessimo per le commissioni – che sono composte da poche persone – la modalità di lavoro in videoconferenza come stiamo già facendo come gruppi. E per l’Aula, tanto vale applicare il voto a distanza come fanno il parlamento europeo e quello spagnolo: non c’è nessun impedimento costituzionale. Se poi vogliamo fare di più – ma non per questa volta, per la prossima – possiamo lavorare a una legge costituzionale per stabilire che negli stati di emergenza come questo ci sia una commissione bicamerale fatta di poche decine di persone che (per il periodo di emergenza appunto) faccia le funzioni del parlamento».
C’è chi si preoccupa delle libertà costituzionali che stiamo limitando: movimenti, privacy. Non rischiamo di non tornare indietro?
«Abbiamo gli anticorpi. Siamo in emergenza o no? Non siamo ancora riusciti a vedere il picco dei contagi: qualsiasi valutazione deve essere fatta in questo contesto. Giusti i timori, ma sono sproporzionati rispetto al contesto. Venuta meno l’emergenza, verranno smantellate le misure di emergenza».
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