In Evidenza Cop29Donald TrumpGoverno Meloni
ECONOMIA & LAVOROBCECoronavirusDebito pubblicoIntervisteItaliaPatto di stabilitàSanitàSpeculazioneUnione europea

Coronavirus, stop al patto di stabilità. L’economista Brancaccio: «Bisogna sospendere le contrattazioni di borsa contro la ‘bestia della speculazione’» – L’intervista

23 Marzo 2020 - 23:09 Angela Gennaro
«Ci sono motivi per essere ragionevolmente pessimisti», dice a Open l'economista. «La Bce sosteneva fino a qualche giorno che questa sarebbe stata una crisi a V. I dati smentiscono seccamente questa ipotesi»

L’Ecofin ha approvato il 23 marzo l’attivazione della clausola di sospensione del patto di stabilità, così come aveva chiesto la Commissione Ue, per fronteggiare la crisi portata dalla pandemia di Coronavirus. «L’ok a una decisione che è stata già concordata era scontato», chiosa il professor Emiliano Brancaccio, economista dell’Università del Sannio. «Ora tutti si rallegrano, ma bisognerebbe ricordare che il patto di stabilità è stato già sistematicamente violato nei 2/3 dei casi – è un dato del Fondo Monetario internazionale – e che di conseguenza non ha mai rappresentato il problema principale per l’Europa».

E allora qual è il problema principale in questo momento, professore?

«Ora che i singoli governi hanno la possibilità di tenere da parte i vincoli dei trattati, andranno sul mercato finanziario ed emetteranno titoli per riuscire a reperire i finanziamenti necessari a fronteggiare l’emergenza. E questa situazione rischia di dare luogo a un eccesso di offerta di titoli, con la conseguenza di generare quel classico ‘ingorgo’ del mercato finanziario che crea le condizioni per una caduta dei prezzi dei titoli e quindi per le scommesse al ribasso degli speculatori».

Questo cosa vuol dire nella quotidianità degli Stati e delle persone?

«Quando i prezzi dei titoli scendono significa che si comprano a poco prezzo sul mercato, sono titoli a reddito fisso e in sostanza i tassi di interesse esplodono: questo è il meccanismo per cui lo spread si gonfia. C’è il rischio che questo ‘liberi tutti’ generato dalla sospensione del patto di stabilità abbia uno spiacevole effetto collaterale: i prezzi crollano, favoriti ovviamente dal comportamento degli speculatori, e i tassi di interesse esplodono».

Cosa fare quindi per evitare questo effetto collaterale?

«La Banca Centrale europea dovrebbe garantire un ‘ombrello di protezione’ contro l’azione degli speculatori: come gli Stati offrono titoli, la Bce si appresta a comprarli in modo che i prezzi restino stabili e così i tassi di interesse».

La Bce ha messo sul piatto un piano da 750 miliardi di euro.

«Sì. Sono pochi. La storia ci insegna che in queste circostanze l’unico modo per governare il mercato e la ‘bestia della speculazione’ è mettere in campo risorse illimitate. Il banchiere centrale non deve dichiarare che agirà fino al limite di 750 miliardi, ma che metterà in campo tutte le risorse necessarie per sconfiggere la speculazione. Questo significa ‘whatever it takes’: non è quello che è stato fatto. La Bce mette un po’ alla spicciolata ‘pacchi’ di miliardi a ogni nuovo sussulto dei mercati, ma questo significa dichiarare che oltre quel limite non interverrà, ed è in un certo senso una tentazione lasciata agli speculatori».

EPA/Armando Babani | La presidente della Banca Centrale Europea (BCE) Christine Lagarde durante una conferenza stampa a Francoforte, Germania, 12 marzo 2020.

Certo, prima del piano da 750 miliardi contro gli effetti della pandemia, la presidente della Bce Christine Lagarde ha pronunciato una frase che ha causato il peggior crollo di sempre nel mercato dei titoli di Stato: «Non siamo qui per chiudere gli spread, ci sono altri strumenti e altri attori per gestire quelle questioni». Qualcuno ha definito quelle parole ‘gaffe’. È così?

«No, non erano gaffe. Non erano voci dal sen fuggite. Erano in realtà la sintesi di una serie di conflitti in corso all’interno del direttorio della Bce e che stanno rendendo il suo comportamento piuttosto opaco e vago, quindi non tale da garantire l’ombrello produttivo. L’intervento della Bce è una forma di mutualizzazione, perché l’istituto incamera nelle sue casse titoli dei vari Paesi, condividendo il debito complessivo. Ma i paesi creditori non vogliono alcuna forma di mutualizzazione dei debiti, ed è lì che emergono i problemi».

Ma neppure i paesi creditori europei sono immuni da un virus che sta arrivando dappertutto in Europa.

«Esatto. Il virus è quello che noi economisti chiamiamo il classico shock sistemico, che richiederebbe una risposta coordinata e sistemica. Del resto, se si chiama “Unione” europea, questo dovrebbe significare: che dinanzi a shock sistemici come questo si interviene in modo coordinato. Ma se guardiamo alla storia dell’Ue, le crisi sistemiche del passato – quella dei debiti sovrani, bancaria, migratoria – non sono state risolte attraverso operazioni coordinate. Questa crisi è ancora più grave e sistemica: la paura è che l’Unione non agisca da Unione, ma che ancora una volta risponda in maniera scoordinata e conflittuale a un problema che richiederebbe un grande coordinamento».

Quali sono le sue previsioni sull’orientamento futuro della Bce?

«Dobbiamo gramscianamente coltivare l’ottimismo della volontà, ma anche purtroppo tenere conto del pessimismo della ragione. E ci sono motivi per essere ragionevolmente pessimisti: la Bce sosteneva fino a qualche giorno che questa sarebbe stata una crisi a V – Io dico V come ‘velleità’: una veloce caduta e poi una rapida ripresa verso l’alto, di nuovo verso l’equilibrio, in maniera pressoché spontanea. Ipotesi seccamente smentita dai dati. Arrestare le attività produttive anche in maniera solo parziale per un paio di settimane significa una caduta della produzione del reddito nazionale di un’ottantina di miliardi: un crollo del 4% del Pil italiano. Una crisi equivalente a quella del 2008-2009, e mi sto limitando a ragionare su solo 15 giorni di stop, senza considerare gli effetti moltiplicativi della recessione. Questo banale calcolo dà un ordine di grandezza della totale inadeguatezza della risposta di politica economica che si sta approntando a livello nazionale ed europeo. Speriamo peraltro che sia a U, la crisi, perché potrebbe essere a L».

Che fare allora?

«Qualche giorno fa – insieme a Riccardo Realfonzo, dell’Università del Sannio, Mauro Gallegati dell’Università Politecnica delle Marche e Antonella Stirati dell’Università di Roma Tre – abbiamo pubblicato sul Financial Times un appello per un ‘piano anti-virus’ con i colleghi economisti : abbiamo chiarito che occorre intervenire in modo molto più massiccio, tenendo conto del fatto che questa è una crisi non solo dal lato della domanda ma anche dell’offerta. Non solo crea problemi di liquidità, di reddito e quindi di spesa: crea problemi di disorganizzazione dei mercati, che possono determinare strozzature nelle catene della produzione con conseguenti difficoltà di approvvigionamento. Le stiamo già registrando nel settore sanitario: il rischio è che se le quarantene si prolungano, le incontreremo anche in altri settori. È una crisi di natura diversa, perché solleva problemi non solo keynesiani (cioè di domanda, con la necessità di rilanciare le spese), ma anche di offerta: richiede quindi un intervento pubblico più ampio e complesso dei precedenti. E condizione necessaria affinché si realizzi in modo ordinato è che si impongano immediatamente controlli sui mercati dei capitali. Dobbiamo applicare regole che già ci sono, che consentono in situazioni eccezionali – e questa lo è – di sospendere le contrattazioni di borsa dove necessario e di controllare i movimenti speculativi di capitali».

E siamo già in ritardo. Dobbiamo assolutamente accelerare: è una sfida collettiva di portata storica che investe sanità, scienza, tecnica ed economia. E la risposta di politica economica deve essere urgente e all’altezza della sfida».

Tornando all’Italia: come giudica la stretta alle attività produttive decisa dall’ultimo Dpcm?

«Sono d’accordo con i sindacati piuttosto che con Confindustria con riferimento all’esigenza di fermare in questo momento i processi produttivi perché non ci sono garanzie per l’incolumità dei lavoratori. Ed è una necessità oggettiva, vista l’esigenza di impedire la diffusione della pandemia. E però è vera un’altra cosa e dobbiamo esserne consapevoli: se queste quarantene dureranno nel tempo, bisognerà trovare delle formule tecnico-produttive che consentano contemporaneamente di riavviare il lavoro in condizioni di salvaguardia della salute. Mi permette di citare Marx?»

Cosa diceva?

«Marx disse che ‘se una nazione sospende il lavoro – non dico per un anno ma anche solo per due settimane – quella nazione soccombe. Lo sa anche un bambino’. Magari esagerava, talvolta lo faceva. Ma non andava troppo lontano dal vero».

Leggi anche:

Articoli di ECONOMIA & LAVORO più letti