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Coronavirus, la democrazia è in affanno? Lo stato dei lavori del Parlamento in Italia e in Europa

Come si stanno comportando i Parlamenti dei vari Paesi europei e quali sono state le scelte politiche fatte in Italia da governo e opposizioni

Evitare gli assembramenti: è questa una delle regole principali della lotta al Coronavirus. Ma considerando che riunirsi è l’attività cardine per prendere decisioni politiche in democrazia, i parlamenti degli Stati europei si trovano a dover gestire i giorni della pandemia con non poche difficoltà strutturali. Il 26 marzo, per la prima volta nella storia dell’Ue, il Parlamento europeo si servirà del voto a distanza per decidere sulle misure di emergenza contro il Covid-19 proposte dalla Commissione (si voterà solo sì o no). La misura straordinaria è solo una delle tante modifiche che verranno fatte al calendario: come annunciato dal presidente David Sassoli, gli appuntamenti in programma a Strasburgo sono cancellati fino a luglio, sostituiti da due giorni di sessioni a Bruxelles.

I singoli Paesi, intanto, adottano strategie diverse. La Spagna, che si trova in questi giorni a fronteggiare un’impennata di contagi, ha deciso di chiudere le Cortes, e la Francia ha bloccato gran parte dei lavori all’Assemblea Nazionale. La Gran Bretagna non ha deciso ancora nulla a riguardo, mentre l’Italia, che per prima ha fatto i conti con la dimensione emergenziale della pandemia, ha scelto di lasciare aperte le Camere. I lavori parlamentari hanno rallentato, senza fermarsi del tutto: oggi, 24 marzo, c’è stata l’audizione in Commissione bilancio di Camera e Senato del ministro dell’economia Roberto Gualtieri, che ha riferito sulle misure economiche adottate dal governo per fronteggiare l’emergenza. «La Camera non ha mai chiuso e continuiamo a lavorare nell’interessa di tutti gli italiani», ha detto in serata Roberto Fico.

La scelta dei Dpcm

Fin dai primi momenti della gestione politica del Coronavirus, il presidente del Consiglio Giuseppe Conte ha dichiarato di prendersi «la responsabilità politica» delle sue decisioni. La scelta di intervenire tramite Dpcm (uno strumento amministrativo e non legislativo) ha fatto sì che potesse essere “risparmiato” il passaggio parlamentare, se non al momento della conversione dei decreti in legge. La Costituzione italiana, d’altronde, attribuisce al governo in casi di estrema emergenza la facoltà di intervenire con disposizioni immediate senza passare per le Camere.

Ma in un clima in cui esiste già un sentimento di sfiducia nei confronti delle istituzioni parlamentari (commenti come: «se aspettiamo che si decida il parlamento facciamo in tempo a morire tutti» sono all’ordine del giorno sui social), si fa largo una domanda: ha fatto bene Conte a continuare sulla strada dei Dpcm e delle dirette Facebook improvvisate, o il nostro sistema politico democratico uscirà logorato dagli imperativi emergenziali di questo periodo?

Proprio perché si tratta di una sfida enorme e nuova, capire in che modo si sceglie di gestirla non è questione da poco. Il fatto che non siano state le Camere a fare la dichiarazione dello stato d’emergenza – ma l’abbia fatto il governo dopo un consiglio dei ministri – è un elemento che continua a far discutere.

In parte oggi Giuseppe Conte ha chiarito la vicenda durante la conferenza stampa in cui ha annunciato un nuovo decreto che punta a riordinare l’intero impianto normativo di questa fase di emergenza. «Abbiamo deliberato l’adozione di un decreto legge che riordina la disciplina anche dei provvedimenti che stiamo adottando in questa fase emergenziale. Il nostro assetto non prevedeva un’emergenza di questo tipo», ha detto il premier. 

Tornare in Parlamento: tra doveri e problemi

Il Parlamento continua a lavorare, dunque, ma a ritmo rallentato. Le richieste di tornare a lavorare a piano in Aula sono pervenute da più parti nelle ultime settimane (dal Pd alla Lega), senza che però si riuscisse a trovare una quadra finale su come poter portare effettivamente avanti i doveri della rappresentanza democratica. C’è chi chiede il voto a distanza, come la Lega e il Pd, e chi, come Pietro Grasso, non vuole rinunciare al diktat democratico “prima discuti e poi vota”.

Il presidente del Consiglio, intanto, è atteso giovedì 26 marzo per un’informativa sia alla Camera che a Palazzo Madama – quali e quanti deputati e senatori saranno presenti resta ancora un’incognita. Ieri, 23 marzo, Conte ha incontrato il segretario della Lega Matteo Salvini, il vicepresidente di Forza Italia Antonio Tajani e la presidente di Fratelli d’Italia, Giorgia Meloni, per ricominciare a discutere con le opposizioni sull’emergenza.

«Non basta fare opposizione sui social media, bisogna farlo in Parlamento», ha detto in un’intervista a Radio 3 Nadia Urbinati, docente di teoria politica alla Columbia University. Anche per il Presidente della Camera Roberto Fico è dell’idea che «il Parlamento non può arretrare ora». Ma come fare a riunirsi in sicurezza? «Possiamo pensare all’istituzione di una commissione speciale come quelle costituite a inizio legislatura per l’esame degli atti del governo (i decreti di Conte, ndR)», propone Fico. «Limiteremmo così il numero delle persone coinvolte direttamente» e si darebbe l’ultima parola al Parlamento prima del via libera.

Il parere degli esperti

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