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Coronavirus, «Io, lavoratore ad Amazon, senza sicurezza sul lavoro». E in sede scattano i controlli dei Nas – La storia e il video

24 Marzo 2020 - 14:35 Giulia Marchina
«Niente mascherine, zero guanti. Si lavora in totale normalità, come se là fuori il mondo non stesse affrontando un’epidemia di portata globale», Il racconto di un dipendente

Amazon sfida la pandemia. «Invece di contrastare la minaccia» di nuovi contagi da Coronavirus, «lascia che i dipendenti continuino a lavorare come nulla fosse, in barba alle misure di sicurezza adottate dal Governo per il contenimento della malattia». Almeno, questo è quello che accade allo stabilimento di Torrazza Piemonte, in provincia di Torino, una delle ultime sedi operative a sorgere – è attiva dal primo luglio 2019. Qui, dallo scoppio dell’emergenza sanitaria, sono stati già registrati due casi di positività al Covid-19.

Eppure «tutto resta uguale, immutato: assembramenti alla timbratura del cartellino, pranzi di gruppo in sala mensa senza rispettare le distanze di sicurezza». Poi la coda alle macchinette del caffè, con una variazione sul tema: «Ne hanno lasciate funzionanti una sì e una no, pensando questo basti, ma è una roba che fa ridere perché alla fine la pausa diventa motivo per riunirsi in gruppo».

«Niente mascherine, zero guanti. Si lavora in totale normalità, come se là fuori il mondo non stesse affrontando un’epidemia di portata globale». L’unica precauzione, un flacone di disinfettante nei bagni, «come se questo bastasse ad arginare il pericolo».

I dettagli, ripresi anche in un video, li racconta a Open Luca, useremo un nome di fantasia, che si è trasferito da Napoli in Piemonte per amore e per lavoro. Tramite un’agenzia interinale, è riuscito ad accaparrarsi un posto tra le mura del gigante dell’e-commerce. «Ho un contratto di un mese, per ora. Ma se questa è la situazione, io ci rinuncio. Non posso varcare la soglia dello stabilimento chiedendomi se oggi sarà la giornata adatta per ammalarmi o no».

Luca ha 20 anni, vive in casa con i genitori della fidanzata – che si prendono cura di lui aggiornando costantemente i suoi cari rimasti a Napoli. «Ho deciso di rimanere a casa, anche a costo di giocarmi il posto. Si sa che in questo tipo di realtà, se ti sottrai al tuo dovere, nonostante siano i tuoi superiori ad essere degli scellerati, fai la figura di quello che non ha voglia di lavorare. A me non importa, non ho intenzione di mettere a repentaglio la salute per lo stipendio».

Una scelta drastica, quella di Luca – spalleggiato dalla famiglia – che non tutti i 1.800 dipendenti del polo possono permettersi: chi ha famiglia, una casa, un mutuo da pagare, è costretto a continuare a presentarsi a inizio turno, portandosi magari precauzioni da casa, pagandole a proprie spese. «Ho presentato una denuncia ai carabinieri e ai Nas», ha detto il ragazzo.

La Procura e i sindacati

Nel frattempo, le voci di una scarsa sicurezza sul posto di lavoro sono arrivate ai sindacati. Filt e Nidil Cgil, con la collaborazione di un gruppo si sono mossi dopo i casi di contagio all’interno dell’azienda. La Cgil ha annunciato una sospensione dal lavoro chiedendo di tutelare la salute dei dipendenti e fermare le produzioni non essenziali. «Una decisione che i lavoratori hanno preso assumendosi la responsabilità civile di limitare il contagio da Covid-19 – spiegano in una nota Filt e Nidil Cgil -. Invece la multinazionale americana continua ad ignorare tutto questo e opera su lavorazioni assolutamente non indispensabili e in condizioni inaccettabili, con lavoratori obbligati in assembramenti in entrata ed uscita dal proprio turno di lavoro, in assenza di dispositivi di protezione individuale, con modifiche strutturali all’interno dello stabilimento insufficienti a garantire la loro salute». Al momento nel polo logistico di Torrazza è in corso un’ispezione del Nas.

Le richieste dei dipendenti sono semplici, ma a questo punto non scontate: per cominciare, vogliono mascherine e guanti. Poi, chiedono venga misurata la temperatura all’entrata dello stabilimento: chiunque accusi un po’ di febbre, deve far ritorno a casa. Chiedono che l’azienda limiti l’afflusso del personale all’interno del polo soprattutto gli addetti all’analisi dei file e i responsabili dell’inventario.

Il caso è finito alla procura di Ivrea, sul tavolo del pm Alessandro Gallo. Un fascicolo a carico di ignoti, aperto per «atti relativi». La tutela dei lavoratori è affidata ai tecnici dello Spresal, il servizio di sicurezza negli ambienti di lavoro dell’Asl To4, inviati a Torrazza.

La replica di Amazon

Abbiamo inviato una mail ad Amazon per chiedere spiegazioni a riguardo. Per il momento non abbiamo ricevuto risposta.

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