Coronavirus, dalle origini ai medicinali e al contagio: tutto quel che sappiamo con certezza della malattia
Cosa sappiamo con certezza di Covid-19? Non molto, visto che il nuovo Coronavirus che provoca questa malattia è noto da pochi mesi. Ci scuserete quindi se persino in un articolo di questo tipo troverete dei “sarebbe” o dei “potrebbe”. La verità è che sappiamo ancora molto poco, ma abbastanza da capire che è necessario rispettare misure ferree, per il contenimento dell’epidemia; sull’esistenza dei tanti pazienti in terapia intensiva e delle vittime, non ci sono infatti dubbi.
Origine dai pipistrelli
La sindrome respiratoria grave è provocata da un Coronavirus denominato inizialmente 2019-nCoV, poi classificato SARS-CoV2. Dai dati del genoma, confermati quando è stato isolato il patogeno in giro per il mondo, sappiamo che sicuramente ha avuto origine zoonotica (dagli animali), precisamente da un ceppo tipico dei pipistrelli. Non sappiamo ancora se il salto nell’uomo è avvenuto direttamente dai pipistrelli o se esiste un altro animale intermedio.
Ma gli animali domestici non vi contageranno
L’origine zoonotica ha ispirato diverse credenze infondate riguardo alla possibilità che gli animali domestici possano essere vettori del virus. Sono stati registrati in Cina casi sospetti di animali uccisi, in quanto sospetti “untori”. Su questo punto l’Oms è piuttosto chiara:
«Allo stato attuale, non ci sono prove che animali da compagnia / animali domestici come cani o gatti possano essere infettati dal nuovo coronavirus. Tuttavia, è sempre una buona idea lavarsi le mani con acqua e sapone dopo il contatto con gli animali domestici. Questo vi protegge da vari batteri comuni come E. coli e Salmonella che possono passare tra animali domestici e umani».
Siamo in una pandemia
Il primo focolaio è stato molto probabilmente il mercato ittico di Wuhan. Da questo ceppo derivano quelli isolati in Italia, Germania e altre parti del mondo. La filogenesi dei vari ceppi è stata studiata, escludendo le ipotesi di altri patogeni confusi col SARS-CoV2. Niente «virus padano» quindi. Inizialmente il nuovo Coronavirus era circoscritto soprattutto nella regione di Hubei, mentre negli altri Paesi esistevano politiche di controllo dei passeggeri dalla Cina. Con il boom dei casi in Italia e l’aumento del rischio negli altri Paesi, l’Oms ha ritenuto che si potesse parlare di «pandemia», ovvero un’epidemia diffusa in più continenti.
Morbilità e letalità
Per morbilità si intende il numero di casi in un dato periodo di tempo, correlati a una malattia. La letalità – semplificando molto – riguarda la capacità effettiva della patologia di uccidere un paziente. Sappiamo per certo che nei bambini la morbilità è piuttosto bassa, mentre aumenta notevolmente negli adulti. Difficilmente è possibile oggi stabilire una letalità assoluta, mentre possiamo ragionare per fasce di età: sotto i 10 anni è prossima allo zero; dai 10 ai 15 è dello 0,2%; sopra gli 80 anni è del 18%.
Dai dati provenienti dagli ospedali, sappiamo che buona parte dei ricoverati in terapia intensiva con Covid-19 sono over sessanta, e hanno patologie pregresse, il rischio è alto anche per i fumatori. Sono stati fatti parallelismi tra la situazione in Lombardia e nella regione di Hubei. I paragoni sono invece impossibili. Il rapporto sotto il 10% tra casi e decessi in Italia è sicuramente sovrastimato, perché mancano gli asintomatici e altre forme lievi, che non hanno passato il vaglio del tampone.
Non è un’influenza
Inizialmente pensavamo a una patologia poco più grave di un’influenza, qualcuno ha continuato a sostenerlo, nonostante cominciassero ad arrivare le smentite dalla comunità scientifica. In mancanza di terapie antivirali riconosciute e di un vaccino, siamo di fronte a una pandemia preoccupante. Covid-19 per la precisione è una malattia respiratoria acuta da SARS-CoV-2, diversa dalla sindrome respiratoria acuta grave, altrimenti nota come Sars.
I sintomi più comuni (febbre, stanchezza e tosse secca), potrebbero essere confusi con altre patologie. Nell’80% dei casi non presenterebbe complicazioni. Statisticamente un paziente su sei avrà difficoltà respiratorie. Anziani con patologie pregresse, quali ipertensione, cardiopatie o diabete, sono notevolmente più a rischio di sviluppare complicazioni, finendo in terapia intensiva.
Il contagio indiretto
Teoricamente è possibile il contagio indiretto, visto che le particelle di saliva che emaniamo trasportano il virus e persistono nell’aria per un certo periodo. Precisiamo subito che questa eventualità è poco probabile.
Diversi studi hanno provato a stabilire un tempo preciso. Alcuni del tutto infondati parlano di 30 minuti, un recente position paper ipotizza che le polveri sottili possano accelerare la diffusione nell’aria, ma è puramente correlativo e non pretende di dimostrare il cosiddetto «effetto boost» dello smog, nel favorire la diffusione aerea.
Diversi studi, basati su altri coronavirus, stimano che possa sopravvivere in diversi tipi di superfici. Uno studio del Journal of hospital infection, stima che SARS-CoV2 potrebbe rimanere attivo fino a nove giorni sugli oggetti. Per questa ragione si svolgono le «sanificazioni», negli ospedali, nelle strade e nelle piazze. Da qui anche la raccomandazione di lavarsi frequentemente le mani.
Sono nate così, veicolate su WhatsApp, diverse fake news, una in particolare raccomandava di tenere fuori dalla porta le scarpe usate per andare in giro, nell’eventualità di venire contagiati tramite l’asfalto.
In realtà ricordiamo ch’è estremamente improbabile un contagio indiretto. Tutte le stime sulla resistenza del virus nell’aria o nelle superfici, sono ancora piuttosto incerte.
Terapie e ricerca di un vaccino
Nel febbraio scorso l’Università di Austin in Texas produsse un modello 3D della glicoproteina «CoV spike (S)», questo tipo di proteine sono utilizzate dal virus per penetrare nelle cellule; conoscerle significa aggiungere un tassello in più nella ricerca di un vaccino, impresa che richiederà comunque ancora molto tempo.
Che dire delle terapie antivirali? Esiste un farmaco? Al momento si è letto di tutto, c’è anche chi va in Russia ad acquistare antivirali di dubbia efficacia. In compenso nel prossimo mese dovremmo avere i primi risultati di un farmaco promettente denominato Remdesivir, prodotto da una società americana, utilizzato già in Cina dai primi di febbraio – così come negli Stati Uniti e in Italia – per il trattamento dei pazienti in gravi condizioni.
In tutto sono circa 300 gli studi in corso, riguardanti altri potenziali farmaci antivirali, alcuni utilizzati normalmente per altri tipi di infezione, uno di questi è il Kaletra, già usato per il trattamento dell’Hiv.
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