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Cosa c’entra il Coronavirus con i cambiamenti climatici? Molto, secondo alcuni esperti

25 Marzo 2020 - 21:59 Giulia Delogu
coronavirus mercato whuan
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Tre coronavirus in meno di vent’anni sono un forte campanello d'allarme legato anche a cambiamenti dell’ecosistema: se l’ambiente viene stravolto, il virus si trova di fronte a nuovi "ospiti"

Sono ormai diversi gli esperti concordi nel dire che la pandemia di Coronavirus ha molto a che fare con la crisi climatica in corso. Tra questi c’è anche la direttrice esecutiva del Programma delle Nazioni Unite per l’Ambiente (UNEP), Inger Andersen, secondo la quale l’umanità sta scontando gli effetti negativi dell’eccessiva pressione esercitata sull’ambiente.

Le hanno fatto eco diversi scienziati di spicco, aggiungendo che è quasi sempre il comportamento umano a provocare il “salto” – il famoso “Spillover”, da cui il libro di David Quammen – della malattia dagli animali all’uomo, e che nella fauna selvatica esistono malattie con un tasso di mortalità molto più elevato di Covid-19. In altre parole, stiamo giocando con il fuoco.

La diffusione del virus come risposta all’invasività dell’uomo

Negli ultimi decenni la frequenza delle epidemie si è intensificata. Le cause sono addebitabili a diversi fattori tra cui i cambiamenti climatici che modificano l’habitat di animali che fanno da vettori a questi virus, la crescente intrusione umana in ecosistemi vergini – che spinge la fauna selvatica a contatto con gli esseri umani – e la sovrappopolazione associata alla rapidità degli spostamenti delle persone. 

Se la priorità in questo momento è debellare il Coronavirus, «la risposta a lungo termine deve affrontare la scomparsa dell’habitat di molte specie e, di conseguenza, la diminuzione della biodiversità». A dirlo è sempre Andersen, secondo la quale «mai prima d’ora ci sono state così tante opportunità per agenti patogeni di passare dagli animali selvatici alle persone». Ed infatti il 75% di tutte le malattie infettive più recenti provengono dalla fauna selvatica.

La continua erosione di spazi naturali vergini ci costringe a convivere a stretto contatto con animali e piante che ospitano malattie che possono infettare anche noi umani. Basti pensare ai mercati di animali vivi e al commercio illegale di animali in tutto il mondo. La diffusione di virus del genere, in altre parole, sarebbe l’inevitabile risposta della natura alla pressione e all’invasività dell’uomo.

Migliaia di pangolini congelati in una fossa prima di essere bruciati in Indonesia – Foto di Paul Hilton/WCS

Il “salto” della malattia dalla fauna selvatica all’uomo

Lo ha spiegato anche la virologa Ilaria Capua, che dirige uno dei dipartimenti dell’Emerging Pathogens Institute dell’Università della Florida dal 2016. «Tre Coronavirus in meno di vent’anni rappresentano un forte campanello di allarme. Sono fenomeni legati anche a cambiamenti dell’ecosistema: se l’ambiente viene stravolto, il virus si trova di fronte a ospiti nuovi», ha dichiarato, aggiungendo che «questa epidemia ha messo in luce come in questo mondo siamo tutti interconnessi. Se intervieni su un ecosistema e, nel caso, lo danneggi, questo troverà un nuovo equilibrio. Che spesso può avere conseguenze patologiche sugli esseri umani».

È il meccanismo raccontato nel saggio “Spillover. L’evoluzione delle pandemie” da Quammen, che in una recente intervista a Wired ha spiegato che «le ragioni per cui assisteremo ad altre crisi come questa nel futuro sono che 1) i nostri diversi ecosistemi naturali sono pieni di molte specie di animali, piante e altre creature, ognuna delle quali contiene in sé virus unici; 2) molti di questi virus, specialmente quelli presenti nei mammiferi selvatici, possono contagiare gli esseri umani; 3) stiamo invadendo e alterando questi ecosistemi con più decisione che mai, esponendoci dunque ai nuovi virus e 4) quando un virus effettua uno “spillover”, un salto di specie da un portatore animale non-umano agli esseri umani, e si adatta alla trasmissione uomo-uomo, beh, quel virus ha vinto la lotteria: ora ha una popolazione di 7.7 miliardi di individui che vivono in alte densità demografiche, viaggiando in lungo e in largo, attraverso cui può diffondersi».

Insomma, che ci piaccia o no siamo intimamente interconnessi con la natura e gli effetti di ogni nostra azione si ripercuotono inevitabilmente su di essa – e di conseguenza su di noi. Non si tratta di essere catastrofisti, ma di osservare i fatti e metterli in fila. L’aumento dei focolai di malattie infettive nell’uomo è uno di questi, così come è un fatto che l’Ebola, l’influenza aviaria, la sindrome respiratoria del Medio Oriente (MERS), la febbre della Rift Valley, la sindrome respiratoria acuta grave (SARS), il virus del Nilo occidentale e il virus Zika siano passati dagli animali agli uomini.

Era possibile prevedere l’epidemia?

L’emergere e la diffusione di Covid-19, dunque, non solo era prevedibile, ma in un certo senso addirittura prevista. A dirlo non è soltanto Andrew Cunningham, professore della Zoological Society di Londra, ma anche uno studio del 2007 basato sull’epidemia di SARS del 2002-2003, che conclude: «La presenza di un grande serbatoio di virus similia a SARS-Cov nei pipistrelli, unitamente alla cultura del consumo alimentare di mammiferi esotici nella Cina meridionale, è una bomba a orologeria».

Altre malattie della fauna selvatica hanno avuto tassi di mortalità molto più elevati nelle persone, ha aggiunto Cunningham, come il 50% per l’Ebola e il 60% -75% per il virus Nipah, trasmesso dai pipistrelli nell’Asia meridionale. «Anche se al momento potremmo non pensarci, probabilmente siamo stati quasi fortunati [con Covid-19]». Insomma, ha detto, «penso che dovremmo prenderlo come un chiaro avvertimento. È un tiro di dadi».

La crisi causata dal Coronavirus potrebbe essere vista come un’opportunità per cambiare, anche se Cunningham non è convinto che andrà così: «Pensavo che le cose sarebbero cambiate dopo la SARS, che è stato un enorme campanello d’allarme – con il più grande impatto economico rispetto a qualsiasi altra malattia emergente all’epoca», ha detto. «Il mondo era in allarme, ma quando l’epidemia è stata sconfitta si è tirato un grande sospiro di sollievo e tutto è tornato come prima». Questa volta non possiamo ripetere lo stesso errore.

Foto copertina di AFP, GETTY

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