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«Torniamo al lavoro ma senza garanzie di sicurezza». I timori degli operai che rientrano in fabbrica

I sindacati hanno raggiunto un accordo con il Governo e l’elenco delle aziende che rimangono in funzione dovrebbe essere ridotto. Non è ancora esattamente chiaro come le aziende che rimarranno aperte riusciranno a fare rispettare le protezioni

Gianluigi Zanotti ha 36 anni ed è un metalmeccanico per un’azienda lombarda, non lontano da Milano. Salvatore Viola invece ha 54 anni ed è dipendente di una stamperia, anche lui nella regione che al momento rappresenta il focolaio del Coronavirus in Italia. Entrambi oggi hanno scioperato mentre i sindacati negoziavano con il Governo ed entrambi domani dovrebbero tornare a lavoro, nell’incertezza generale.

Al termine dell’incontro i segretari generali di Cgil, Cisl e Uil, Maurizio Landini, Annamaria Furlan e Carmelo Barbagallo, si sono detti soddisfatti. L’elenco delle attività che sono rimaste in funzione perché ritenute essenziali, considerato troppo ampio dai sindacati, è stato rivisto. Ma sia Gianluigi che Salvatore – come molti loro colleghi -continuano a nutrire dubbi riguardo la reale indispensabilità del proprio lavoro e l’efficacia delle misure di sicurezza adottate dalle aziende. A far paura sono anche i numeri: secondo i dati della Protezione Civile in Lombardia i casi positivi sono 32.346, e nella provincia di Milano, dove si trovano le aziende, sono 6.074 – il numero più alto nella regione dopo Brescia e Bergamo.

Il materiale che manca e le difficoltà nel far applicare le tutele

«Il punto è proprio questo» – spiega Gianluigi – «Noi riteniamo che l’attività che facciamo non sia indispensabile. I nostro lavoro va avanti perché la dirigenza ha ritenuto di dover continuare per motivi di business. È un tema di cui abbiamo discusso apertamente anche con loro». Necessarie o no, l’altro grande tema è la sicurezza sul lavoro.

«Lo sciopero di oggi è stato fatto per chiedere tutele negli ambienti di lavoro. Più sicurezza, più pulizia», spiega invece Salvatore, impiegato nella fabbrica di Melzo. «La mancata costanza nelle forniture di prodotti come mascherine e guanti, la scarsa pulizia dei servizi igienici, il poco controllo: sono tutti problemi reali. Sappiamo che i materiali di protezione sono difficilmente reperibili ma sono comunque carenti. L’igiene degli spazi comuni è fondamentale: sono state fatte pulizie sotto pressione e con poca continuità, non pienamente nel rispetto del documento. E poi ci sono laboratori dove le distanze di sicurezza si accorciano». 

Dopo l’accordo con il Governo i sindacati hanno esultato, annunciando in una nota congiunta che d’ora in avanti tutti i lavoratori che continueranno a svolgere il proprio lavoro dovranno essere dotati dei dispositivi di protezione individuale, come previsto nel Protocollo di Sicurezza. In più, ci saranno nuove verifiche: i Prefetti «dovranno coinvolgere le organizzazioni territoriali per la autocertificazione delle imprese che svolgono attività funzionali e assicurare la continuità delle filiere essenziali». 

È meno chiaro, però, come faranno le aziende a reperire il materiale di sicurezza, come le mascherine, di cui hanno bisogno i lavoratori. Da questo nasce il timore per i ritorno al lavoro. «I più preoccupati sono i genitori o i 20enni-22enni che vivono a casa con i genitori», spiega Gianluigi, che a 36 anni vive da solo e non ha questo problema. «Le forniture delle mascherine sono lentissime, quindi si sa che in molti casi vengono utilizzate più a lungo di quanto dovrebbe accadere. Un altro punto evidenziato da molti colleghi è il fatto di spostarsi con i mezzi pubblici. La preoccupazione c’era, adesso non saprei dire…». «Lo stato d’animo è di tensione: si esce soltanto per fare la spesa, uno per famiglia», racconta invece Salvatore. «In questo siamo come il resto del Paese».

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