Coronavirus, i numeri fra trasparenza e caos: quanto è utile rendere pubblici i dati giorno per giorno?
Ogni giorno centinaia di migliaia di persone in Italia accendono smarphone o Tv per ascoltare la conferenza stampa del capo della protezione civile Angelo Borrelli. Il commissario straordinario fornisce quotidianamente gli aggiornamenti sullo stato dei contagi e delle vittime da Coronavirusin Italia, catalizzando l’attenzione tanto dei cittadini quanto dei media. Man mano che i giorni della pandemia si susseguono, però, l’importanza indiscussa della trasparenza si intreccia con una domanda: la comunicazione quotidiana dei dati ufficiali serve o no a dare un quadro di come stanno davvero le cose?
Secondo molti, la poca omogeneità nella raccolta dei dati, unita al non sapere per certo quante persone abbiano contratto il virus (si ha solo il dato di chi ha fatto il test ed è risultato positivo), non solo non ci fornisce un disegno veritiero dello stato dei contagi, ma nemmeno ci permette di mettere a punto una strategia adeguata per uscire dall’emergenza.
«A volte il sistema della trasparenza e della privacy mostra i suoi limiti», ha detto proprio stamattina il sindaco di Milano Giuseppe Sala in un videomessaggio. «I dati sui contagi sono ufficiali ma non restituiscono il vero. La maggior parte degli scienziati sostiene che la diffusione è 10 volte tanto e noi non siamo sempre al corrente del numero dei tamponi effettuati. E poi: quali informazioni ci danno quei dati su quando potremo tornare alla normalità?».
Sala ha citato Silvio Garattini, presidente e fondatore dell’Istituto di ricerche farmacologiche “Mario Negri”, secondo il quale sarebbe meglio comunicare le cifre ogni 3 o 4 giorni, perché «ragionare sulla giornata rischia di creare soltanto ansia tra la gente». La preoccupazione e l’ansia diffuse tra la popolazione sono sotto gli occhi di tutti ogni giorno: episodi di code ai supermercati, fughe dalla Lombardia verso il Sud, le cacce all’untore e le denunce social contro chi, per qualsiasi motivo, si trova in strada senza apparente giustificazione, sono solo la punta dell’iceberg.
I dubbi degli esperti
A sollevare il dubbio sui dati era stato lo stesso Borrelli, che in un’intervista di qualche giorno fa a La Repubblica ammetteva senza troppi giri di parole che i contagiati potrebbero essere dieci volte di più di quelli tracciati. Un’ipotesi che ha trovato d’accordo esperti e virologi, tra cui Roberto Burioni, il primario di infettivologia all’Ospedale Sacco di Milano Massimo Galli, l’epidemiologo Fabrizio Pregliasco e il membro dell’Oms e consulente del Governo Walter Ricciardi.
A far discutere è stato anche lo studio del sindaco di Nembro, Claudio Cancelli, e dell’amministratore delegato del centro medico Sant’Agostino, Luca Foresti. Entrambi fisici di formazione, hanno dimostrato tramite verifiche demografiche che le vittime da coronavirus nel comune bergamasco sono 4 volte di più di quelle fornite nei dati ufficiali. Un metodo di conteggio che potrebbe essere esteso senza difficoltà a tutto il territorio italiano.
Un altro caso eloquente è stato il passo indietro del presidente della Regione Lombardia Attilio Fontana, impegnato ogni giorno nella comunicazione dei dati lombardi insieme all’assessore al Welfare Giulio Gallera. Dopo essersi detto molto preoccupato per l’aumento della curva dei contagi nella Regione di ieri 26 marzo (si sono contati +2.543 casi positivi in 24 ore), ha rivisto le sue posizioni notando che, tutto sommato, «sarebbe meglio che la valutazione venisse fatta ogni cinque giorni, così per poter trarre una conclusione più centrata».
A trovare una strada tra la nebbia delle cifre ci hanno provato due ex presidenti dell’Istituto di Statistica italiana, Giorgio Alleva e Alberto Zuliani, che insieme ai tre colleghi Giuseppe Arbia, Piero Falorsi e Guido Pellegrini hanno inviato una lettera di suggerimenti a Speranza, Brusafero (presidente dell’Iss) e a Ricciardi. Invece di fornire dati alla rinfusa e alla cieca, propongono di usare la strategia del campione statistico: per produrre dati rappresentativi bisogna realizzare «un protocollo di osservazione a campione», che comprenda 2 mila persone per Regione, alle quali effettuare (e ripetere) il tampone in maniera sistematica e controllata.
La poca utilità della trasparenza non accompagnata da uno strumento di lettura adeguato, insomma, sembra ormai essere una posizione che mette d’accordo virologi, politici e commissari.
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