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Coronavirus, la ministra Dadone: «Smartworking nella pubblica amministrazione, Sud ancora lento. E la Sicilia mi preoccupa» – L’intervista

27 Marzo 2020 - 05:58 Angela Gennaro
«Bisognava chiudere tutto subito? Sì, ma poi mi sarei ritrovata gli scaffali vuoti», dice la ministra della PA. «Siamo di fronte a una situazione bellica»

Il macchinone dell’amministrazione pubblica italiana è ora davanti ad una delle sfide più difficili di sempre: l’epidemia da Coronavirus e la necessità urgente di accelerare la digitalizzazione. Serve far lavorare le persone a distanza, per esempio. O fornire ai cittadini i servizi indispensabili per un Paese che si è fermato ma non del tutto: anche in tempi di coronavirus si continua a nascere, per esempio. Attraverso la Pa, poi, si cercheranno le prime risposte “pubbliche” alla crisi.

L’Italia «ha ora di fronte problemi strutturali con cui non ci si è mai confrontati», racconta a Open la ministra della Pubblica Amministrazione, Fabiana Dadone. Classe 1984, in quota Movimento 5 Stelle, insieme alla collega Paola Pisano, ministra dell’Innovazione e Digitalizzazione, aveva annunciato – agli albori del governo Conte II – una «collaborazione per accelerare i progetti di semplificazione della Pubblica Amministrazione». Un percorso che sarebbe stato spalmato, seppur a tappe forzate, nell’arco di qualche anno.

Ora lo tsunami Covid-19 ha fatto saltare tutti i tempi: per bloccare il contagio l’Italia si deve fermare. Il lavoro deve diventare “agile”, come si dice, e il digital divide è un “lusso” che non ci si può permettere. «La PA si è trovata di fronte alla grande sfida che ho posto disponendo lo smart working come modalità ordinaria di lavoro», conferma Dadone.

Ministra Dadone, quali sono i primi dati sullo smart working nella PA?

«La risposta è stata positiva, molti i dirigenti che hanno superato i loro limiti e la maggior parte dei lavoratori della PA riesce a lavorare da casa. Ci sono poi servizi indifferibili da effettuare di persona che sono rimessi all’organizzazione della singola amministrazione, sempre evitando assembramenti e rispettando le distanze di sicurezza. In questo, la pubblica amministrazione ha fatto un po’ da apripista: sulle distanze in coda e nell’accesso agli uffici siamo stati i precursori, preferendo un appuntamento scaglionato nel tempo per evitare assembramenti. Abbiamo i primi dati e sono positivi: le regioni del Nord, stressate dal contagio, hanno dato una risposta molto grande, con Piemonte, Veneto, Emilia Romagna e Lombardia che si attestano intorno all’80% di smart working o telelavoro nella PA. Nelle aree Centro-Sud questa percentuale si ferma al 50-60%. Registro il dato negativo della Sicilia che si sta rifiutando di seguire le disposizioni stabilite».

Cosa sta accadendo in Sicilia?

«Dalle segnalazioni che mi arrivano e che sono arrivate all’ispettorato Funzione Pubblica da parte dei sindacati emerge che in tutta la Regione i dipendenti non sono stati messi in smart working. Penso dipenda da una scelta della dirigenza. Lo dico con intento costruttivo: capisco sia difficile cambiare completamente l’ottica del lavoro, passando dal controllo visivo del dipendente a una logica del risultato. Ma è invece una grande occasione per un salto di qualità del management anche nel pubblico».

Cosa può fare il governo centrale in questi casi?

«Non amo le sanzioni come metodo, e per il momento non abbiamo strumenti coercitivi oggettivi. Possiamo attivare l’ispettorato e aiutare le amministrazioni ad affrontare la situazione. Sta anche un po’ al dirigente, che si assume la responsabilità di mandare le persone al lavoro in questo momento e di esporle a un rischio. Dovrebbero comportarsi da pater familias».

Come sta reagendo la PA alla digitalizzazione forzata? E come i cittadini? Avere a che fare con i servizi on line spesso è proibitivo e burocratico a qualunque età per i cittadini.

«Non è semplice né per i cittadini né per i dirigenti, che spesso non sono persone appena uscite dall’università. Non possiamo illuderci che l’Italia cambi dalla sera alla mattina: il punto è riuscire ad affrontare oggi queste problematiche e superarle per ritrovarci poi una pubblica amministrazione all’avanguardia rispetto alle esigenze reali di un’Italia 2021 che sarà molto diversa da quella di oggi».

Quali sevizi la Pa riesce ad assicurare ai cittadini in queste settimane di lock down a causa della pandemia di Covid-19?

«I servizi anagrafici dei comuni, per esempio, sono già quasi tutti online. L’erogazione degli stipendi è un’attività essenziale. La concessione dei certificati di nascita deve funzionare: si continua a nascere, per fortuna, anche in questi tempi difficili. Tutto sta nel capire, a discrezione delle singole amministrazioni, se c’è la necessità di mandare un dipendente pubblico in ufficio o meno. Le risposte dipendono anche dalla tecnologia e dalla dimensione del comune, dalla capacità digitale di questo o quel dirigente che magari ha voluto adattarsi negli anni e che oggi, di fronte all’emergenza, si trova già un pacchetto di servizi on line da offrire al cittadino. Inps e Inail sono riusciti nel tempo a investire e possono già offrire molti servizi on line. C’è certamente ancora da fare sul fronte della connessione in cloud dei servizi, ma per il momento posso dire che la risposta è stata positiva».

Per creare un profilo Inps ci vogliono 15 giorni. Per accedere a Spid, tempo e pazienza. L’accesso ai servizi previsti dal Cura Italia può passare da queste lungaggini?

«Non possiamo obbligare le persone, in una fase così complessa, ad accedere a servizi necessari solo tramite Spid. Tentiamo di velocizzare le pratiche, mantenendo i lavoratori in sicurezza. L’Inps si è molto attivato per permettere di collegarsi con i canali dei propri portali in maniera chiara e più semplice. Negli anni è riuscito ad attivare un call center valido per dare feedback ai cittadini. Insomma, la risposta in questa fase c’è, ma è chiaro che è tutto in divenire. Giorno per giorno costruiamo i servizi e li adattiamo sulla base delle esigenze delle persone. Ci muoviamo anche noi in uno spazio nuovo e tentiamo di gestire entrambe le esigenze: il servizio al cittadino in tempi medio-rapidi e la tutela del lavoratore. Anche se non abbiamo la bacchetta magica».

Come funziona la distribuzione dei dispositivi di protezione individuale per i dipendenti PA che devono recarsi sul posto di lavoro?

«L’indicazione data per i dipendenti della pubblica amministrazione è che mascherine e guanti vengono distribuiti in base all’indicazione dell’autorità sanitaria. C’è la centralizzazione da parte della Protezione Civile, che li distribuisce sui territori anche in base all’aumento e al numero dei contagi e all’esigenza del tipo di lavoratore, secondo le indicazioni dell’autorità sanitaria. In primis copriamo ospedali, medici e infermieri in prima linea, poi chi fa i controlli – forze dell’ordine, funzionari dei ministeri – e poi ancora si distribuisce il materiale residuale sui lavoratori pubblici. Sono calcolati nel fabbisogno, scaglionati in questo modo, considerato il limite numerico di dpi. Li distribuiamo man mano che arriva la produzione o che arrivano dall’estero, ma non possiamo permetterci di darli a pioggia adesso».

L’epidemia è stata sottovalutata?

«È una situazione complessa. L’abbiamo gestita in maniera graduale: se al primo caso avessimo chiuso tutta Italia, ci sarebbe stata una polemica di altro tipo. Abbiamo preso misure proporzionali e necessarie, accompagnati dal comitato scientifico. Bisognava chiudere tutto subito? Sì, ma poi mi sarei ritrovata gli scaffali vuoti. Non si poteva fare. Abbiamo fatto il possibile per contenere il contagio nelle aree più colpite, poi abbiamo esteso. Sempre dialogando con le regioni, i sindaci, le opposizioni».

C’è ancora qualcosa da chiudere?

«Abbiamo al momento applicato le strutture più restrittive possibili, mantenendo solo le filiere essenziali. In questi giorni i dati del contagio sono in lieve riduzione, ma il quadro resta complesso e delicato. Non abbiamo una stima su quando potremo invece rallentare la stretta. Siamo di fronte a una situazione bellica».

ANSA / Fabio Frustaci | Fabiana Dadone, ministra della pubblica amministrazione, nell’aula della Camera dei Deputati in occasione del question time sull’emergenza coronavirus, Roma 25 marzo 2020.

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