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Galateo semiserio per analfabeti digitali

Come superare l’impreparazione al lavoro digitale

“Avvocà, ma vedi de annà aff******”. Con questa esclamazione, un simpatico rappresentante sindacale ha chiuso, ieri pomeriggio, un importante incontro di esame congiunto, svoltosi in videoconferenza, nel corso del quale era stata appena discussa e decisa la decisione di un’azienda di mettere in cassa integrazione tutto il personale.

Lo sfortunato sindacalista non si era accorto che tutti i partecipanti alla riunione erano ancora video collegati, e quindi il suo insulto (tutto sommato innocuo, essendo destinato a restare privato) è arrivato forte e chiaro a tutti.

Gli incidenti di questo tipo sono all’ordine del giorno, non solo nel mondo delle relazioni industriali: riunioni che iniziano con decine di minuti di ritardo perché “il sistema non funziona”, videoconferenze dove alcuni partecipanti riescono solo a parlare (oppure solo a vedere), collegamenti che saltano per motivi oscuri.

In tutte queste situazioni, l’imputato numero uno è sempre quello che non si può difendere: la tecnologia. E’ sicuramente vero che molte applicazioni hanno dei difetti, e che qualche volta i sistemi ci lasciano per strada senza motivo.

Ma il vero colpevole molte volte è un altro, anche se nessuno vuole ammetterlo: l’impreparazione strutturale ad interagire in un mondo che non gli appartiene.

Tutti quelli che, come il sottoscritto, almeno una volta nella loro vita hanno fatto il rewind di una musicassetta con una penna BIC convivono con un destino ineluttabile: sono (siamo) attori non protagonisti della rivoluzione digitale. Mentre i nostri figli navigano speditamente in un mare che hanno sempre conosciuto, noi ci arrangiamo a fatica tenendo una ciambella di salvataggio stretta in vita.

Alcune regole basilari

Ci sono alcune regole che tutti noi dovremmo seguire quando utilizziamo le comunicazioni digitali, per cercare di sopravvivere in questa fase di forzata (ma irreversibile) accelerazione verso un nuovo modo di concepire le relazioni sociali e di lavoro.

Eccone alcune:

  • quando ci invitano a una web conference, è buona regola scaricare la app del soggetto che la ospita e completare la procedura di iscrizione. Se questa operazione viene iniziata alle 16 per una riunione delle 16, è altamente probabile che si accederà in forte ritardo al meeting;
  • se c’è una video conferenza, non è il caso di mantenere la tuta o la maglia del pigiama: c’è qualcuno che ci vede. Inoltre, è essenziale “governare” la video camera, ricordandosi di disattivarla se ci si deve alzare (e si era deciso di partecipare in mutande al meeting con il capo mondiale dell’azienda);
  • nella foto del profilo che usiamo per lavoro, non è opportuno sfoggiare gli addominali, la moto delle scampagnate o il bikini da urlo delle vacanze: valutare sempre l’impatto che genera la visione di questa foto quando appare durante un serissimo meeting con clienti, fornitori o colleghi.

Utilizzo delle mail

  • Se una email non supera le due righe è piacevole, se arriva mezza pagina è impegnativa, se supera una pagina è ostile, se supera le due pagine è una dichiarazione di guerra;
  • non si fa “reply to all” a una email che richiede una risposta che interessa solo al mittente (es: chi viene all’assemblea? E partono 360 email “io si” “io no” “io forse”);
  • mandare una PEC soddisfa l’insana fame di burocrazia che scorre nel sangue di ciascuno di noi, ma è sempre una dichiarazione di guerra al mondo (non si legge sugli smartphone, gli allegati si aprono con difficoltà, è un segno di sfiducia verso gli altri):
  • fare un uso contenuto: non si gira una catena di 41 incomprensibili email limitandosi al commento “FYI”: è un pò come buttare (nel cestino altrui) la spazzatura senza averla prima separata;
  • non si manda una email vuota, senza oggetto e con allegato un file chiamato “doc. 1”;
  • (variante della precedente) non si manda una email con oggetto “Invio file doc. 1”;
  • non è una buona idea mandare email di lavoro di notte, a meno che qualcuno non stia aspettando con urgenza di riceverle.

Whatsapp

  • Non è obbligatorio ignorare tutte le regole di grammatica e ortografia; non è vietato mettere un punto, una virgola, un punto e virgola o un accento;
  • scrivere “ke fai? xke non 6 venuto al mtg?” ha senso a 16 anni, è tollerabile a 22, è criminale dopo i 30;
  • le faccine sono come i sacchetti biodegradabili: anche se sono facili da smaltire, possono comunque danneggiare l’ambiente in caso di abusi;
  • per ogni comunicazione esiste un mezzo diverso: quello che va bene su whatsapp non va per forza bene anche via email (e viceversa);
  • un meme sul tema del momento fa ridere, 10 fanno sorridere, 100 rientrano a tutti gli effetti nella nozione di stalking (e sono inopportuni);
  • avere più di 20 gruppi whatsapp attivi sta per essere riconosciuta come malattia psico sociale; bisognare prevenirla parlando dal vivo con le persone, è un’esperienza che può risultare piacevole.

Social network

  • LinkedIn non è la nuova cassetta della posta dove infilare i volantini pubblicitari (lo dico ai 9 consulenti previdenziali che mi hanno scritto negli ultimi 7 giorni…);
  • a pranzo ci servono una pietanza buonissima, al mare ci sono i tramonti, in palestra facciamo step e a Natale prepariamo un bellissimo albero: diamocene atto, una volta per tutte, così togliamo di mezzo il 50% delle comunicazioni social;
  • le foto del mare vanno su Instagram e Facebook, le opinioni politiche su Twitter e i temi professionali si trattano su LinkedIn: se si invertono queste accoppiate, gli effetti sono comici o disastrosi.

Ultima regola essenziale: sul web i testi troppo lunghi annoiano; quindi nonostante ce ne sarebbero ancora tante da dire, passo e chiudo, sperando di scatenare il dibattito!!

Foto copertina Marvin Meyer on Unsplash

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