Coronavirus, medici del 118 contro il presidente della Toscana: «Mandati allo sbaraglio, denunciamo Rossi per lesioni e epidemia colposa»
«Siamo tutti mamme e papà, non sappiamo se siamo infetti e dunque abbiamo paura di contagiare gli altri, soprattutto i nostri famigliari. Adesso basta, la misura è colma, non possiamo sentirci dei medici di serie B solo perché lavoriamo sulle ambulanze, in spazi ben più ristretti delle corsie di un ospedale. La situazione è drammatica dal punto di vista psicologico e non possiamo di certo accontentarci delle mascherine chirurgiche per combattere il Coronavirus». A parlare a Open, in quello che è un grido «di dolore» è Francesca Muti, medico del 118 di Siena, in Toscana.
La denuncia
Ormai stremati, medici e infermieri toscani del 118 (rappresentati da Snami 118 Toscana, Fismu 118 Toscana e Cobas Asl Toscana Centro) hanno deciso di presentare un esposto «per accertare se sussistono gli estremi di reati come epidemia colposa, omissioni di atti di ufficio, lesioni colpose gravi e istigazione a delinquere», nei confronti del presidente della Regione Toscana, Enrico Rossi, insieme all’assessore alla Sanità Stefania Saccardi e al dottor Piero Paolini, direttore del dipartimento maxi emergenze della Regione Toscana. Sono sul piede di guerra perché temono non solo per la loro incolumità ma anche per quella dei loro pazienti e dei loro familiari. Servono tutele, ora. Non c’è più tempo da perdere.
Cosa contestano
La goccia che ha fatto traboccare il vaso è stata l’ordinanza 17 del 19 marzo del 2020 della Regione Toscana che «autorizza i sanitari del 118 a usare per l’emergenza Coronavirus delle mascherine chirurgiche prodotte da imprese locali in base a un prototipo ritenuto soddisfacente da un esame del laboratorio del Dipartimento di Chimica dell’Università di Firenze».
Ed è qui che si accende lo scontro. Secondo l’ingegnera Alice Ravizza di Torino, interpellata dai medici e dagli infermieri del 118 della Toscana, «il test effettuato sull’efficienza di filtrazione delle mascherine non appare fornire garanzie sulle principali caratteristiche tecniche delle mascherine chirurgiche imposte dalla normativa vigente a tutela della persona che le indossa poiché non è valutata la filtrazione batterica, la traspirabilità e la respirabilità, né l’indossabilità o la sigillatura al viso e le mascherine oggetto di test non possono, dopo analisi tecnica dei risultati disponibili, essere definite a norma secondo la normativa vigente».
«Dobbiamo decidere se curare i pazienti o ammalarci noi»
«Ho colleghi che, dopo aver messo le mascherine chirurgiche, si sono ammalati. Uno di loro, un mio caro collega, è persino in terapia intensiva a Pisa. Ci sentiamo abbandonati dal sistema sanitario, con una Regione, quella Toscana, che “chiacchiera”. Prima ci danno le mascherine che assomigliano ai panni Swiffer, utili forse per pulire le superfici, poi quelle chirurgiche e infine quelle Ffp2, che sono comunque in numero limitato. Stanotte, che sono stato in turno, ho igienizzato la mia mascherina Ffp2 per non utilizzarne altre e dunque per non lasciare scoperti miei colleghi. Ma possiamo continuare così? Ci mettono davvero nella condizione di dover decidere se curare il paziente o se ammalarci noi. Pensi che, a mie spese, mi sono puree affittato un appartamento per stare lontano dalle mie quattro figlie piccole. Non vorrei farle ammalare» ci racconta Giovanni Belcari, medico del 118 di Pisa-Livorno.
«In terapia intensiva per 5 euro al giorno»
Per Lorenzo Sgherri, infermiere che lavora al 118 di Firenze, le «mascherine Ffp2 non hanno nemmeno la marchiatura CE, sono di pessima qualità e non aderiscono bene al viso». «Ci sentiamo abbandonati. E sa quanto percepisce un infermiere in terapia intensiva? 8 euro lordi in più al giorno che, netti, saranno poco più di 5-6 euro». Ma l’aspetto economico, in questo momento, passa in secondo piano.
Le altre accuse
Medici e infermieri mettono sotto accusa anche il Coordinamento regionale maxi emergenze che, in un documento, sostengono i sindacati, dice testualmente: «Nella gestione dei casi sospetti o confermati, dovrà essere, per quanto possibile, limitato l’utilizzo di aerosol terapia e C-PAP». «Ci chiedono “per quanto possibile” che non si proceda a tali terapie con tali presidi per chi ne richiedesse l’uso. Queste sono terapie salva vita per i nostri pazienti, specialmente i più fragili ed è imperdonabile che a medici ed infermieri del servizio pubblico, ai quali non si forniscano da settimane presidi adeguati, si dica anche che sia possibile negare tali chances terapeutiche, riducendo ai nostri pazienti le possibilità di salvezza» concludono.
Foto in copertina di repertorio
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