Coronavirus, infermieri eroi? Sì, ma con stipendi miseri. E per chi lavora in terapia intensiva l’indennità è di 28 euro al mese
Gli angeli degli ospedali. Gli eroi in corsia. I custodi delle nostre vite. Quante parole abbiamo speso per esaltare il lavoro degli infermieri che in questi giorni lavorano ad assistere gli italiani aggrediti dal Coronavirus? Ma dietro la retorica c’è una realtà che si preferisce dimenticare, che non è solo quella legata all’emergenza dei turni massacranti e delle mascherine che mancano. Una realtà, fatta di stipendi indegni di un paese civile. O che, perlomeno, stridono con gli osanna di questi giorni.
Stipendi e indennità degli infermieri
Le retribuzioni non subiscono grosse rimodulazioni da anni. «Gli infermieri che lavorano nel pubblico partono, a inizio carriera, da uno stipendio di circa 1.150 euro netti. Nel corso degli anni la retribuzione aumenta di cifre irrisorie a seconda dell’età e delle mansioni più o meno rischiose», racconta Antonio De Palma, presidente del sindacato di categoria Nursing Up, tra i firmatari del Ccnl relativo al personale del comparto sanità.
De Palma, quanto guadagna in media un infermiere?
«Lo stipendio medio di un infermiere che lavora nel pubblico, a metà carriera e tarato su una media di indennità corrisposte, è di 1.410 euro netti al mese. Considerando il tipo di professione è uno stipendio da Paese del terzo mondo».
A quale cifra può ambire un infermiere a fine carriera?
«Non conosco nessun infermiere che superi la soglia dei 2.000 euro. Solo i più anziani, facendo i caposala dei reparti dove è richiesto un certo tipo di specializzazione, si avvicinano a quella cifra».
Qual è la situazione all’estero?
«In Germania e in Regno Unito lo stipendio medio è di circa 2.500 euro, 1.000 in più rispetto all’Italia. Ma il dato che è ancora più indicativo riguarda l’impatto del costo della vita sul reddito degli infermieri».
Il costo della vita, però, è senz’altro più alto nei Paesi che ha citato.
«Non lo dico io, ma un’indagine dell’Ocse dedicata alla nostra professione. Secondo l’Organizzazione, un infermiere italiano spende in media l’83,3% del suo stipendio per le necessità fondamentali della vita quotidiana come il cibo e le medicine. I colleghi tedeschi utilizzano il 43,2% del loro stipendio per la sussistenza, gli inglesi il 58,8% e i francesi il 60,6%».
È uno dei motivi per i quali ci sono tanti infermieri italiani che lavorano negli ospedali all’estero?
«Certo, anche perché la preparazione degli infermieri italiani è riconosciuta in tutto il mondo. Come sindacato siamo stati costretti a stringere accordi con alcune agenzie interinali tedesche. È triste, ma diamo supporto ad alcuni infermieri che cercano condizioni di vita migliori per il trasferimento all’estero».
Perché avete firmato il contratto collettivo allora, viste le condizioni così svantaggiose?
«Era l’unico modo per poter rappresentare gli infermieri e difenderne i pochi diritti che avevano. In un certo senso, siamo stati costretti a siglarlo».
Nemmeno con le indennità si riesce a tirar su uno stipendio migliore?
«Le indennità, ad esempio quella notturna, 2,74 euro lordi all’ora: ripeto, neanche nel terzo mondo. Poi c’è l’indennità per la pronta disponibilità, ovvero un compenso che viene dato a chi fornisce la reperibilità anche nei giorni liberi e viene chiamato a lavorare durante il turno di riposo. Viene erogata ogni 12 ore di lavoro extra e ha un valore di 20,66 euro lordi».
Chi lavora in terapia intensiva, per assistere pazienti affetti dal Covid-19 ad esempio, quanto riceve in più?
«Per le terapie intensive o per le sale operatorie viene riconosciuta un’indennità mensile di 28,41 euro lordi. Per il personale specializzato che lavora nelle terapie intensive, sub-intensive, ma anche chi fa servizi di dialisi o di nefrologia, riceve un’indennità quotidiana di 4,13 euro lordi. È ridicolo».
Ci sono segnalazioni che avete raccolto, in questo periodo, a livello di retribuzione oraria non rispettata?
«La cosa più assurda che succede in alcune aziende sanitarie è che i dirigenti si rifiutano di considerare come tempo lavorato quello che gli infermieri impiegano per indossare le protezioni. Per indossare correttamente la tuta, le maschere, le visiere, i calzari ci può volere più di mezz’ora. Stessa operazione a fine turno. Alcuni ospedali non pagano queste ore necessarie a proteggersi prima di entrare nei reparti Covid».
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