Non è smart working ma “lavoro casalingo”
Ha salvato dalla chiusura totale moltissime aziende e ha garantito la continuità di tanti servizi essenziali, ma quello che milioni di persone stanno sperimentando in queste settimane non si può definire “smart working”: si tratta, piuttosto, di una forma molto stressante di “lavoro casalingo” che, per quanto necessaria e inevitabile, non potrà durare a lungo, in quanto è troppo faticoso ed è poco produttivo.
Chiunque sta sperimentando questa forma di lavoro sa di cosa parliamo: un computer messo in un angolo stretto della casa, bambini, parenti, animali e congiunti che si aggirano per l’abitazione facendo rumore e cercando attenzioni, video riunioni improvvisate che spesso faticano a decollare per l’incapacità dei partecipanti di gestire un sistema di videoconferenza, e soprattutto, un sequenza inarrestabile di connessioni digitali, che inizia alle 9 del mattino e finisce, per i più fortunati, prima di cena. Con una coda serale e notturna fatta di messaggi WhatsApp provenienti dalle chat più disparate.
Risultato: si va a letto in stato confusionale e ci si risveglia al mattino con il terrore di affrontare la quotidiana valanga di connessioni e informazioni digitali che arrivano dal grande imbuto in cui si è concentrata tutta la nostra vita, lo smartphone.
Questa forma di lavoro, come si diceva, non si può definire smart working perché manca l’elemento essenziale che caratterizza il “lavoro agile”: la libertà di scegliere come alternare il posto, le modalità, gli strumenti e il tempo di lavoro.
Siamo passati dalla costrizione dell’ufficio a una doppia costrizione: si lavora solo a casa, e si lavora usando soltanto strumenti digitali, senza nessuna agilità.
Questo passaggio è avvenuto, per forza di cose, senza che fossimo pronti, da tutti i punti di vista. Non eravamo pronti dal punto di vista tecnologico: i possessori di una stampante casalinga sono una élite di privilegiati, per non parlare di quei pochi eletti che hanno un monitor e una tastiera fissi o delle cuffie degne di questo nome.
Ma non eravamo pronti anche e soprattutto a livello mentale. Il passaggio senza filtri dall’ufficio all’abitazione ha messo in moto una valanga di comunicazioni digitali che rischia di travolgere le persone.
Lo smartphone è diventato un grande imbuto nel quale sono confluite le riunioni, la pausa caffè, e qualsiasi altra attività umana; persino l’aperitivo si è “trasferito” dentro lo smartphone, alla ricerca (legittima) di un simulacro delle vecchie abitudini.
Servono, allora, delle contromisure per governare il “lavoro casalingo” e riportarlo entro confini e limiti sostenibili. Partendo dagli errori di queste settimane, basterebbe applicare alcune piccole regole:
- il lavoro non è una sequenza ininterrotta di videoconferenze e telefonate: tra una riunione digitale e l’altra è essenziale lasciare uno spazio di tempo minimo (non meno di 30-45 minuti) per pensare, riflettere (e leggere le email…);
- la prestazione lavorativa, anche se svolta tra le mura domestiche, ha un inizio e una fine: sono assolutamente da evitare – salvo urgenze reali – email, telefonate e video riunioni fuori da qualsiasi controllo orario;
- non è obbligatorio tenere aggiornata l’intera famiglia delle proprie riunioni: l’utilizzo delle cuffie e la ricerca di un ambiente chiuso sono la regola basilare del lavoro da casa;
- dopo un’attenta e ponderata analisi dei DPCM, delle circolari e dei tweet dei ministeri competenti, è importante prendere 5-10 minuti di aria (con una passeggiata intorno al palazzo) ogni 2-3 ore di connessione;
- a casa è essenziale collegare il pc a schermi e monitor fissi, per evitare di stare sempre piegati su iPad e portatili e acquisire, in poche settimane, la postura dell’uomo di Neanderthal.
Queste regole servono per sopravvivere durante l’emergenza, ma non bastano: appena potremo tornare a mettere il naso fuori da casa, il lavoro agile dovrà riprendere le sembianze originarie – alternanza tra l’ufficio e gli altri spazi – soprattutto dovrà tornare ad essere utilizzato per rendere più moderno il rapporto tra aziende e lavoratori.
Sostituire la “misurazione” del tempo e l’obbligo di presenza con la facoltà di decidere come e dove lavorare, per migliorare produttività del lavoro e facilitare la conciliazione con la vita personale: a questo doveva servire lo smart working, e questa dovrà tornare ad essere la sua finalità, appena sarà finita l’emergenza sanitaria (e, con essa, questa caotica sperimentazione del “lavoro casalingo”).
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