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Perché in Umbria si muore poco di Coronavirus

Il cuore verde dell'Italia è la Regione con il tasso più basso di mortalità per Covid-19. La dottoressa Francisci, direttrice di Malattie Infettive al S. Maria della Misericordia di Perugia, ha provato a spiegare perché

Era il 29 gennaio di quest’anno quando, parlando a Terni Today dell’epidemia da Coronavirus appena esplosa in Cina, la direttrice della Clinica di Malattie Infettive del “S. Maria della Misericordia” di Perugia, Daniela Francisci, notava: «Il tasso di mortalità, per quelle che sono le attuali conoscenze, sembra mantenersi intorno al 3%». Oggi che l’epidemia ha investito in pieno l’Italia, quelle prime ipotesi si dimostrano ormai troppo ottimistiche – siamo attorno al 12% di media nazionale. Ma non per l’Umbria: la Regione del centro Italia mantiene un tasso di mortalità del 3,5% circa. Tra i più bassi – se non il più basso – di tutta la Penisola.

In Lombardia muore oltre il 17% dei malati di Covid-19. Nelle Marche i decessi superano il 13% e in Liguria e in Emilia Romagna si parla di circa il 12%. Anche la Valle d’Aosta supera l’ 11% e Piemonte, Trentino Alto Adige e Abruzzo si aggirano attorno al 9%. Perché, allora, a fronte di una media generale così alta, l’Umbria non ha mai tradito quelle stime iniziali di gran lunga più basse – e che avevano indotto non pochi scienziati ed esperti a definire il virus «non più di una comune influenza»?

A oggi, che la curva dei contagi nel Paese sembra aver superato il suo picco critico, le risposte che secondo la direttrice Francisci possono essere date sono due: una riguarda l’età media dei contagiati e l’altra una gestione mai emergenziale dei ricoveri negli ospedali.

L’età media dei contagi

Una delle prime risposte che erano state trovate per giustificare il boom dei contagi e dei morti in Italia era stata proprio l’età media dei suoi abitanti. Siamo un Paese vecchio, si ripeteva, e la malattia ci ha colpiti più intensamente rispetto ad altri posti nel Mondo. Per quanto le ipotesi siano ancora in corso di studio, il “caso umbro” sembra complicare ancora di più la questione.

«La Regione Umbria è una delle più vecchie d’Italia come popolazione», ha ricordato Francisci. «Di fatto, però, i dati della Protezione Civile ci dicono che il tasso di letalità è attorno al 3,5- 3,7%». Perché? «Perché dalle loro stime parrebbe venir fuori che l’età media dei pazienti sul territorio è un po’ più bassa della media nazionale». Da quanto è consultabile anche dal sito della Regione, il 71% dei casi di contagio ha interessato persone con meno di 65 anni. Gli over 80, invece, occupano circa il 9,4% del totale.

La situazione negli ospedali

Secondo Francisci, a differenza di altre Regioni – su tutte la Lombardia, ndr – l’Umbria non si è mai trovata in affanno dal punto di vista delle ospedalizzazioni. Vuoi la diversa composizione demografica (al 31 dicembre 2018 la popolazione residente in Umbria era di 882.015 persone, contro gli oltre 10 milioni della Lombardia), vuoi una diversa gestione della Sanità nel tempo, la Regione non è stata colta impreparata dall’aumento esponenziale dei ricoveri.

A Perugia, nello specifico, la situazione è ora «decisamente migliorata» grazie anche al lavoro di riorganizzazione celere avvenuto nei reparti. «Al reparto di Malattie Infettive che dirigo – ha spiegato Francisci – siamo partiti con 16 camere di isolamento adatte al contenimento del Covid-19. Nel giro di 2 o 3 giorni dall’inizio dell’emergenza abbiamo aumentato il numero riorganizzando l’ospedale. Abbiamo aperto dei reparti ad hoc e le stanze per la rianimazione sono state più che raddoppiate».

Francisci non ha dubbi che la rimodulazione degli ospedali abbia contribuito a limitare la mortalità da Covid-19: «Grazie al rapido intervento e alla creazione di “reparti grigi” negli ospedali – dove abbiamo tenuti i pazienti sospetti -, le nostre strutture non hanno ma affrontato un grosso periodo di affanno», ha spiegato.

Nel corso dell’ultimo mese, in Umbria sono stati aperti molti punti Covid-19 in aggiunta agli ospedali già operativi. Il Media Valle del Tevere di Pantalla, ad esempio, è stato riaperto il 16 marzo, ed è stato messo nelle condizioni di ospitare fino a 50 pazienti positivi. A Orvieto, a Foligno e a Città di Castello, inoltre, sono stati creati dei centri appositamente per la gestione dell’epidemia. «Possiamo dirlo molto tranquillamente – ha insistito la direttrice – non c’è stato nessun paziente che aveva necessità di essere ricoverato che non abbia avuto questa opportunità». Il cuore verde dell’Italia, dunque, non ha solo avuto dalla sua una invidiabile condizione ambientale, ma anche, a detta di Francisci, una «dinamica e rapida gestione dell’emergenza».

Il parere degli esperti:

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Foto copertina: Ansa, Spoleto

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