Coronavirus, “Nature” si scusa per aver associato la malattia alla Cina: «Fermiamo lo stigma ora»
In principio era una strana polmonite proveniente dalla Cina, poi è toccato al Coronavirus e dall’11 febbraio l’Oms ha annunciato che la nuova malattia sarebbe stata chiamata Covid19. L’Organizzazione mondiale della Sanità ha offerto una direzione chiara per evitare che la malattia fosse associata erroneamente a Wuhan e alla Cina nella copertura delle notizie.
«Ci assumiamo la responsabilità e ci scusiamo», scrive la nota rivista scientifica Nature in un editoriale dello scorso 7 aprile. Il giornale britannico ha deciso infatti di scusarsi per aver all’inizio dell’epidemia associato più volte la malattia con il Paese di provenienza.
«Per anni – spiega Natura – è stato comune associare malattie virali a luoghi o regioni da cui provenivano». Ma nel 2015 l’Oms ha introdotto delle linee guida per evitare etichette simili che possano alimentare stigma, impatti negativi e rabbia verso determinate popolazioni.
Nature ha ammesso di aver più volte fatto riferimento al virus come a un organismo di origine cinese. Una narrativa in cui è caduto anche il presidente americano Donald Trump che in diverse conferenze stampa, riferendosi alla Covid19, ha fatto riferimento a un virus cinese. Ma come spiega l’epidemiologo Adam Kucharski, citato da Nature, le pandemie portano alla stigmatizzazione delle comunità, «motivo per cui tutti abbiamo bisogno di fare più attenzione».
Le conseguenze di questa associazione si sono viste sin dai primi giorni dell’epidemia, quando sono aumentati gli attacchi contro le persone dalle sembianze asiatiche in Italia come nel resto del mondo. Un fenomeno che, soprattutto nei Paesi anglofoni, ha portato – spiega ancora Nature – molti studenti cinesi a lasciare i loro corsi universitari per far ritorno nel loro Paese d’origine, sia a causa dei lockdown che della paura di essere bersagli facili.
Una perdita di capitale umano e di diversità che rischia di portare i giovani asiatici a ritirarsi dai campus internazionali, avverte la rivista. Che, dopo aver riconosciuto l’errore, chiede di fermare «lo stigma del Coronavirus» ora.
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