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Coronavirus, la quarantena sarà un’occasione per riflettere sul consenso sessuale digitale?

Rapporti a distanza e sexting - occasionale o meno: due fenomeni che esistevano già prima della pandemia ma che ora, nello sdoganamento generale della tecnologia nelle pratiche sociali e sessuali, finiscono al centro del dibattito

Il Coronavirus ci ha divisi. Ci ha separati dagli amici, dai parenti, dai compagni e dalle compagne con i quali eravamo soliti spendere serate intere. Dai nostri appuntamenti occasionali, dalle persone con cui sceglievamo di restare insieme dall’aperitivo fino alla mattina successiva. A sperimentare il distacco emotivo non sono più solo le coppie in Erasmus o lontane per lavoro: sono anche le persone che vivono nello stesso quartiere, quelle che frequentano gli stessi locali e le stesse piazzette. E così, chi aveva scampato la diaspora generazionale, si trova ora a dover fare i conti con gli stessi problemi – amplificati – che da tempo affliggono migliaia di individui.

Mentre impazzano gli aperitivi su Zoom (e chissà perché non ci avevamo pensato prima, in quelle giornate tutte casa-metro-lavoro), i dj-set live su Instagram (vedi sopra) e i compleanni su House Party, anche le coppie più “tradizionaliste” si scoprono a fare sexting su WhatsApp, mentre i date su Tinder si scambiano i contatti Telegram per non doversi compromettere troppo. Con una quarantena che promette dei “postumi” ancora molto vincolanti dal punto di vista della socialità, il rinvio dei rapporti a data da destinarsi non sembra l’opzione migliore.

Fonte: https://icons8.it/ouch/

Queste dinamiche digitali, esattamente come lo sono quelle fisiche, presentano però una doppia faccia. La quarantena ci ha messi «tutti sulla stessa barca», per usare un’espressione tipica di questi tempi: non sono più solo gli avanguardisti a ritrovarsi nudi in videochat, ma chiunque sia rinchiuso da solo in 4 mura domestiche. E proprio come è necessario portare avanti dibattiti sul consenso, sulle molestie e sullo stupro dal punto di vista della sessualità più classica, è doveroso tornare a insistere su tutto l’universo di violenze e abusi legato all’online.

Secondo Vittoria Bottelli, giovane sessuologa che vive e lavora a Milano da oltre 10 anni, «la quarantena può essere il momento per fermarci a pensare a un’educazione in materia di sessualità e relazioni digitali». Venuto alla luce lo scomodo segreto che, anche prima del Coronavirus, una buona parte di noi viveva isolata e allontanata dai propri cari, «la pandemia può essere un’occasione di svolta positiva».

«Nella psicologia delle emergenze si parla di crescita post traumatica», spiega Bottelli. «Le persone che riescono a emergere da questa fase senza essere traumatizzate potrebbero riuscire a scoprire capacità che pensavano di non avere, guardando con altri occhi le relazioni – siano esse di coppia, di natura amicale o anche collettiva».

Dottoressa, come le sembra che stia incidendo la quarantena sulle nostre relazioni sociali e sul nostro rapporto con la sessualità?

«Quello che vedo sono due spaccati: quest’evento sta avendo un impatto in due direzioni opposte. Da una parte ci sono le persone che stanno vivendo la situazione in termini molto negativi e, per forza di cose, la sessualità è l’ultimo dei loro interessi. Persone malate, in lutto o che hanno cari in ospedale. O anche soggetti che risentono della pandemia in termini di depressione o di ansia: sono due emozioni che possono avere effetti in termini disfunzionali e, in questi casi, il desiderio viene azzerato.

C’è poi invece chi, in un momento di avvertito pericolo, reagisce con estrema vitalità. Vede rifiorire l’aspetto sessuale, che può coincidere sia con una spinta vitale sia con una strategia ansiolitica. Succede soprattutto ai conviventi senza figli e senza preoccupazioni rispetto a un futuro economico. Chiaramente, per le coppie che si trovano in casa con i figli, è più difficile avere abbastanza spazio e tempo…».

Quali saranno gli effetti più visibili nel “dopo” pandemia?

«Qui viviamo abbastanza nell’incertezza. Tendenzialmente, gli studi sugli eventi catastrofici ci parlano sempre di un periodo di baby boom. Stavolta però è diverso: la pandemia coinvolge la popolazione di tutto il mondo e anche nel “post” avremo a che fare con delle limitazioni importanti dal punto di vista dei contatti e dei rapporti. Anche nella fase 2, chissà quali saranno le accortezze da prendere rispetto al sesso occasionale. Certo, come dimostrano alcuni studi, in questo periodo si è registrato un incremento nell’utilizzo dei contraccettivi. È una bella spinta al sesso sicuro».

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Ora si fa un gran parlare di sexting, ma non è certo un fenomeno nuovo. La quarantena può essere un’occasione per sdoganare delle alternative ancora “tabù”, ma che già si sperimentavano – ad esempio – nelle sempre più comuni relazioni a distanza?

«Assolutamente. Per le coppie che vivono l’isolamento a distanza e per le persone single, il sexting è una strategia che aiuta. Sta diventando un vero e proprio elemento vicario della sessualità. C’è un incremento delle app di dating, dove ci si cerca appositamente per fare sexting. La tecnologia, che finora era stata vista con sospetto, diventa ora un elemento che ci fa rimanere vivi».

È di pochi giorni fa la notizia della scoperta dell‘ennesimo gruppo Telegram contenente materiali pedopornografici e fenomeni di revenge porn. Può essere questa l’occasione per approfondire il dibattito sul consenso digitale?

«Questo può essere un buon momento per riflettere sulla pratica del consenso, nonché un’occasione per sviluppare un atteggiamento di consapevolezza rispetto a quali possono essere i miei desideri e i miei limiti. È importante imparare a non cedere, a dire “no” senza avere il timore di deludere l’altra persona e di non sentirla più. Succede spesso – soprattutto alle ragazze – che si mandino foto senza che dietro ci sia il reale desiderio di farlo. Si agisce sotto pressione. Ma per me è fondamentale educare noi stessi e noi stesse al riconoscimento dei nostri bisogni e alla comprensione dei limiti altrui: se una persona mi dice no, anche online, è comunque no».

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