Diminuisce il traffico aereo e calano le emissioni. È tempo di cambiare le nostre politiche dei trasporti?
I voli di linea per passeggeri sono uno dei settori più colpiti dal Coronavirus. Mentre EasyJet lascia a terra l’intera flotta e Ryanair annuncia che non riprenderà i voli prima di giugno, la British Airways ha deciso di sospendere 36.000 dipendenti e ha chiuso l’attività in diversi aeroporti. Complessivamente, i voli sono diminuiti fino al 95% e, con sempre più lavoratori tra il personale delle compagnie aeree e degli aeroporti che rischiano di perdere il lavoro, la priorità dei governi è, ovviamente, garantire un reddito per tutti e salvare le linee strategiche.
Una situazione grave da un punto di vista economico che però, se vista da un’altra prospettiva, può rappresentare una svolta nelle politiche dei trasporti dell’eurozona e non solo. In altre parole la pandemia, costringendoci a ripensare ogni aspetto della nostra vita, ci offre la possibilità di orientare le nostre abitudini verso un futuro meno dipendente dal trasporto aereo, il più inquinante di tutti e per questo il più urgente da limitare – basti pensare che se le compagnie mondiali fossero uno Stato sovrano, sarebbero tra le dieci nazioni più inquinanti al mondo.
Un settore in crescita, ma con molte contraddizioni
Secondo il primo rapporto mondiale sul traffico aereo di Airports Council International (ACI), solo nel 2018 il traffico di passeggeri aerei nel mondo è cresciuto del 6% rispetto all’anno precedente, raggiungendo quota 8,8 miliardi – per rendere l’idea, è come se tutti gli abitanti del pianeta avessero fatto almeno un viaggio in aereo, anziani e bambini inclusi. Il dato curioso, però, è che il trasporto aereo è anche un settore che si rivolge prevalentemente ai più ricchi: il 10% della popolazione, la fascia più benestante, copre da solo il 60% di tutti i voli acquistati.
Eppure, come confermato da diversi studi di settore, il trasporto aereo è responsabile di circa il 2% delle emissioni di CO2 prodotte globalmente dall’attività umana e, secondo i dati del 2016 dell’Agenzia Europea per l’Ambiente, del 13% di quelle legate al settore dei trasporti. Per fare un paragone, mentre l’auto produce 42 grammi di CO2 al km per ogni passeggero, volare ne produce 285 per passeggero – con una media di 88 persone a volo. Un dato che fa riflettere soprattuto se si considera che le emissioni del trasporto aereo non sono attribuite al conteggio di nessun paese – un punto cieco negli impegni internazionali sui cambiamenti climatici che rischia di alterarne in modo serio gli obiettivi.
Politiche dei trasporti lungimiranti
Non sarebbe sciocco, dunque, chiedere un intervento dei governi nella pianificazione delle politiche aeree di medio e lungo termine, da inserire in una più ampia strategia di implementazione di linee di trasporto a basse emissioni di carbonio. Se da un lato hanno sempre più senso le ecotasse sui biglietti, ad esempio, dall’altro i governi dovrebbero investire in alternative concrete come i servizi ferroviari o gli autobus, in particolare treni e pullman per viaggi a lunga distanza. Nuovi investimenti in servizi e infrastrutture di trasporto più sostenibili che creeranno a loro volta nuovi posti di lavoro, e si potrebbero addirittura azzardare dei corsi di formazione mirata per “convertire” il personale aereo e degli aeroporti ad altri comparti del settore trasporti.
Dal punto di vista del consumatore, invece, l’attuale interruzione globale dei voli aerei può rappresentare un’opportunità per modellare i futuri comportamenti di viaggio. Le abitudini lavorative, economiche e sociali adottate durante la crisi potrebbero suscitare un rinnovato senso di “flygskam” ovvero, letteralmente, “vergogna di volare”. Un concetto nato sulla scia dell’attivismo di Greta Thunberg, che ha effettivamente modificato il comportamento degli svedesi – non a caso in Svezia i passeggeri che usano il treno sono aumentati del 17% contro il 4% di quelli degli aerei, confrontando i dati del 2019 con quelli del 2018. Insomma, sappiamo da anni che dobbiamo cambiare radicalmente le nostre abitudini di trasporto, e il Covid-19 potrebbe essere la spinta di cui abbiamo bisogno.
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