Freniamo la sbornia digitale prodotta dal “lavoro casalingo”
Uno degli effetti più nefasti della versione emergenziale dello smart working – che su queste pagine abbiamo chiamato e chiameremo “lavoro casalingo” – è la crescita senza fine delle comunicazioni digitali. La giornata lavorativa è completamente intasata di messaggi, email, telefonate e video chiamate: il tempo disponibile per lavorare sembra essersi dimezzato, mentre il mal di testa e la sensazione di esaurimento aumentano ogni giorno di più. È necessario mettere un freno, prima che questa valanga ci travolga. Iniziamo migliorando l’uso dalla posta elettronica: se fossero vietate le email con più di due destinatari, salvo eccezioni motivate, improvvisamente avremmo una “pulizia” di almeno il 30% delle email che riceviamo ogni giorno, senza alcun danno.
Miglioriamo anche i contenuti delle email. Un dibattito su un argomento caldo, una discussione su una decisione da prendere, non devono passare per la posta elettronica: la sede naturale per i dibattiti è WhatsApp (di cui diciamo dopo), e cerchiamo di non superare le 10 righe (a meno che non si annunci la scoperta del vaccino contro il Coronavirus, nessuno leggerà dall’undicesima riga in poi). Anche per le video-riunioni serve un ripensamento. Nei primi 10-15 giorni dopo il lockdown, siamo stati rapiti da una sorta di euforia collettiva, organizzando video chat per discutere di tutto. Entusiasmo accresciuto dalla scoperta di alcune diavolerie come lo sfondo virtuale o l’app per mettere orecchie da coniglio al proprio capo.
Quella fase è finita, e dobbiamo capire che la video chat serve solo per le riunioni importanti, e che si può fare anche senza le orecchie di coniglio (soprattutto se il capo non è spiritoso). Un altro strumento che ha bisogno di una regolata è WhatsApp, ormai funestato da un male incurabile: la funzione “inoltra”. Il nostro dito inoltra meme, video, rapporti scientifici, pdf e qualsiasi altro prodotto della mente umana a velocità supersonica, senza alcun filtro e senza alcuna logica. Diamoci una regolata: non più di tre inoltri al giorno, escludendo meme, pdf superflui e catene di sant’Antonio.
L’ultimo elemento che dobbiamo riorganizzare e ripensare è il più importante: la gestione del tempo. Nel passaggio dal lavoro ordinario al lavoro “casalingo”, abbiamo azzerato ogni prospettiva temporale: le giornate vengono inzeppate di appuntamenti consecutivi privi di intervalli e tutto deve essere fatto nell’arco di mezza giornata. Non va bene, dobbiamo ridare tempo al tempo: se in ufficio non potevano fare 10 riunioni in 10 ore, questa cosa non va fatta – a maggior ragione – da casa. Fissiamo un limite massimo di collegamenti audio e video – non più di 4 al giorno – e riordiamoci che nell’agenda esiste un orizzonte più lungo del domani.
Non è peccato, ad esempio, dare appuntamento tra una settimana per discutere della pianificazione di un evento che si terrà nel 2026. Questi piccoli accorgimenti possono aiutare a sopravvivere fino al rientro in ufficio, ma non bastano. Quando ci saremo riappropriati della nostra vita lavorativa, dovremo analizzare tutte le storture e gli errori del “lavoro casalingo”. Solo in questo modo potremo costruire un vero e sano smart working, che è una cosa molto diversa e più ambiziosa: una modalità organizzativa che mette al centro del rapporto la fiducia, gli obiettivi, la produttività e il bilanciamento tra vita e lavoro, che non può ridursi a una sequenza infinita di video chiamate.
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